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L’illusione delle Catalogna libertaria: il movimento indipendentista svela il suo Dna liberticida

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A volte un bagno di realtà si rivela la più potente medicina contro le illusioni di chi sembra aver occhi solo per cercar conferme alle proprie illazioni e idiosincrasie. A questo riguardo, quello catalano è un caso esemplare, stando almeno alla triste deriva imboccata da questa Regione e al suo allontanamento sempre più radicale dalle aspettative di molti libertari.

Intendiamoci, qui non si mette in discussione il principio di autodeterminazione, che è invece una legittima e fors’anche essenziale rivendicazione del libertarismo. Si criticano invece lo scarso olfatto politico e la debole capacità di previsione di chi legge la realtà solo attraverso le proprie lenti deformanti, stando magari a centinaia o migliaia di chilometri (conoscitivi oltre che geografici) di distanza dall’epicentro dei fatti.

Da facili profeti, a suo tempo mettemmo in guardia contro entusiasmi acritici e scorciatoie emotive, ricordando quanto poco di libertario ci fosse nel Dna del movimento indipendentista catalano, e quanto fosse invece impregnato di collettivismo, statalismo, interventismo e dirigismo. A chi insisteva, magnificandolo, solamente sul principio di autodeterminazione, suggerivamo come all’indomani di un voto favorevole all’indipendenza, la situazione di coloro che hanno a cuore la libertà individuale non sarebbe affatto migliorata, e che sarebbe invece molto più probabilmente peggiorata, e non di poco. Sebbene per l’opposizione del governo spagnolo non si sia potuto votare per l’indipendenza, è anche vero che la Catalogna, dotata di grande autonomia, è governata ormai da anni da una coalizione di forze indipendentiste: dunque qualche indizio probante ci sarebbe.

Ebbene, il governo catalano ha dimostrato di essere verosimilmente il meno rispettoso delle libertà individuali tra tutti i governi regionali: unico ad avere introdotto una normativa sul controllo degli affitti, è ripetutamente ricorso ad aumenti di imposte di vario genere, anche in piena crisi. E non è tutto: uno dei due maggiori partiti indipendentisti, Esquerra Republicana de Catalunya, è arrivato a chiedere al governo spagnolo di intraprendere una armonizzazione tributaria tra le diverse regioni della Spagna, con l’obiettivo di penalizzare Madrid, governata da un centrodestra ben più rispettoso delle libertà e meno vorace di imposte. Insomma, si è assistito allo spettacolo mortificante di un partito indipendentista che cerca di usare il potere centrale per assoggettare altre regioni al proprio volere politico, togliere voce agli elettori madrileni e rimuovere una fonte di sana concorrenza fiscale. L’obiettivo, tutt’altro che oscuro, è di eliminare un competitore istituzionale colpevole di rendere evidenti le proprie mancanze, gli abusi fiscali e le incompetenze amministrativa e gestionale.

Peraltro queste politiche non sono frutto solamente di una classe politica ansiosa di stendere sulla società una rete capillare di controlli e tasse indirizzate a influenzarne i comportamenti. Sono al contrario approvate da ampie fasce di popolazione ormai largamente assuefatte al dirigismo, e dunque pronte a sostenere i progetti più liberticidi senza troppi scrupoli di coscienza. Come chiaro termometro della febbre di libertà della popolazione, basti pensare che le proteste contro le restrizioni pandemiche sono state minime, sostanzialmente inesistenti, quando invece la condanna di un rapper di estrema sinistra per reati comuni – spacciati ingannevolmente per reati d’opinione – ha scatenato manifestazioni che hanno messo a ferro e fuoco mezza Catalogna.

Insomma, non c’è da aspettarsi repliche catalane di Braveheart, né da illudersi che l’indipendenza di questa regione mediterranea spalancherebbe le porte al paradiso libertario: l’ipotesi più verosimile, al momento, è che all’indomani dell’indipendenza la frangia più liberale del popolo catalano sprofonderebbe in un girone ancora più oscuro dell’inferno.

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