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Fragile tregua in Nagorno Karabakh: un altro fronte di tensione tra Turchia, Iran e Russia dopo quello siriano

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La guerra per il Nagorno Karabakh si è per ora conclusa con un cessate il fuoco che, a detta dei maggiori esperti, segna una vittoria per l’Azerbaijan. Baku in questo conflitto si è dimostrata capace di riprendere il ponte Khudaferin, nella Regione di Jabraiyl al confine con l’Iran, e soprattutto la città di Sushi, per anni abitata in prevalenza da azeri e considerata la porta per la conquista della capitale del Karabakh.

L’accordo tra Armenia e Azerbaijan è stato promosso dalla Russia, ma questa mediazione – come ha riconosciuto lo The Moscow Times – non deve essere letta come una vittoria russa, bensì come l’ammissione di una sconfitta. Putin, come noto, sosteneva l’Armenia e ha dovuto non solo subire l’offensiva azera sostenuta dalla Turchia, ma anche l’abbattimento di un elicottero MI-24 al confine tra Armenia e Azerbaijan. Di fatto, quindi, Mosca sarà sempre di più costretta nel suo cortile di casa e, come in Medio Oriente, a trovare una coabitazione con Ankara.

Non è dato sapere come evolverà la questione del Nagorno Karabakh, ma ci sono motivi per credere che il cessate il fuoco non durerà a lungo. Nel caso in cui la fosca previsione dovesse rivelarsi corretta, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan potrebbe sempre di più assomigliare alla guerra tra Iraq e Iran. Una guerra che scoppiò per lo Shatt al-Arab, il fiume navigabile presso la città di Bassora, la cui giurisdizione territoriale era contesa tra Baghdad e Teheran.

Come accadde in quella triste occasione, anche nel caso del Nagorno Karabakh assisteremo probabilmente a costanti lanci di missili tra i due Stati in guerra, che vedranno nelle popolazioni civili le prime vittime. Proprio la cosiddetta “guerra delle città” fu tra le pagine più tristi del conflitto tra Iraq e Iran: tra il 1984 e il 1987, Saddam Hussein ordinò attacchi missilistici indiscriminati contro 11 città iraniane, allo scopo di distruggere moralmente il nemico. Gli iraniani reagirono, sviluppando il loro arsenale missilistico, riuscendo a rispondere, anche se con minore precisione. I morti civili di questa follia, probabilmente, sono ancora oggi incalcolabili.

Ancora: durante il conflitto con l’Iraq, l’Iran creò e armò gruppi armati proxy come l’organizzazione Badr, composta da sciiti iracheni, al fine di combattere dall’interno il regime di Saddam Hussein. Similmente, nella logica ormai classica delle proxy war di cui proprio la Repubblica Islamica si è dimostrata tristemente maestra, la Turchia ha iniziato ad inviare nel Nagorno Karabakh jihadisti sunniti, provenienti dal conflitto in Siria. Una tattica condannata dal presidente iraniano Rouhani, che però ripetiamo, è stata proprio Teheran ad esportare nel mondo. Va anche detto che l’Armenia stessa non è stata da meno, attraendo miliziani ortodossi, soprattutto legati alla diaspora armena nel mondo.

Ovviamente, una ripresa del conflitto aumenterebbe le possibilità di un suo allargamento regionale. Come suddetto, il Nargono Karabakh, nonostante le sue ridotte dimensioni territoriali, ha una capacità enorme di generare uno scontro tra grandi e medie potenze, quali sono appunto la Turchia, la Russia e lo stesso Iran.

Per quanto riguarda la Repubblica Islamica, essa considera la presenza azera al suo confine una minaccia diretta alla sicurezza nazionale. Questo per un duplice motivo: in primis per l’integrità territoriale iraniana. Teheran infatti teme che le vittorie azere aizzino la componente azera iraniana, che diverse volte ha già espresso insoddisfazione verso il governo centrale (nonostante Khamenei stesso sia di origine azera). Non è un caso che proprio poco dopo la riconquista del ponte Khudaferin, i vertici dei Pasdaran iraniani si siano recati in visita al confine e sui social siano stati postati diversi video che mostravano il trasferimento di armi e veicoli militari nella Provincia dell’Azerbaijan iraniano. Quei video per diversi osservatori dimostravano il sostegno militare iraniano all’Armenia e hanno causato le proteste degli Azeri iraniani. In seguito a diverse manifestazioni, Teheran ha dovuto interrompere l’invio di armi verso Yerevan.

Collegato a questo aspetto interno, c’è quello esterno. Turchia, Iran e Russia da anni si incontrano e scontrano, soprattutto nel conflitto in Siria. Nonostante anni di conflitto e negoziati, i tre attori non sono riusciti ancora a trovare un equilibrio di coabitazione. Ai cessate il fuoco, infatti, non sono mai corrisposte spartizioni stabili di influenze territoriali e fiducia reciproca. Ecco perché, nel silenzio del cessate il fuoco, sicuramente continueranno ad arrivare clandestinamente le armi non solo ai governi azeri e armeni, ma anche alle varie milizie in campo. In questo senso, pur predicando l’integrità territoriale dell’Azerbaijan, è abbastanza prevedibile che proprio l’Iran sarà in prima fila nel sostenere le milizie armene, al fine di poter indebolire, quando necessario, i rivali turchi. Un’azione che però stavolta Teheran dovrà portare avanti con maggiore discrezione, probabilmente affidandola ai soli canali della Forza Qods.

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