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Con il pretesto dei diritti Lgbt, Bruxelles cerca di appropriarsi di poteri non suoi

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La grande guerra di Bruxelles contro Polonia e Ungheria prosegue. Come negli episodi precedenti (Regolamento sullo Stato di Diritto, CSM polacco, ricorso alla CGUE), la Ue cerca di affermare una interpretazione dei Trattati non letterale ma estensiva, usando i due Paesi come proprio laboratorio. L’occasione più recente è una legge ungherese che riguarda l’educazione dei minori. Così la descrive Bruxelles: essa vieta “qualsiasi contenuto che propaghi o ritragga, alle persone sotto i 18 anni, una divergenza da una identità personale corrispondente al sesso alla nascita, cambio di sesso o omosessualità”.

Per le ragioni che vedremo, Bruxelles si prepara a lanciare una procedura di infrazione. A quest’ultima va tutto il nostro interesse. Ci domandiamo: cosa c’entra la Ue con gli Lgbt? Che potere avrebbe la Ue di impicciarsi di questioni così lontane dal commercio e dal mercato unico?

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La via più semplice è farcelo spiegare direttamente dalla Ue. La quale ha parlato, attraverso una lettera a firma dei commissari Didier Reynders (belga) e Thierry Breton (francese). La lettera comincia con tre colpi a vuoto.

Il primo colpo a vuoto è il generalissimo 2 TUE, che parla di “una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Una petizione di principio, priva di effetti giuridici se non accompagnata da altri appigli nei trattati.

Il secondo colpo a vuoto è il richiamo alla libera circolazione delle merci (34 Tfue) e dei servizi (56 Tfue): sono vietate fra gli Stati membri “le restrizioni quantitative all’importazione” di merci, nonché “le restrizioni alla libera prestazione dei servizi”. Come se la distribuzione in una scuola elementare di materiale Lgbt fosse questione commerciale. Argomento, questo, particolarmente disarmante per una Unione che si dice impegnata nella difesa di sacrosanti valori universali … mentre invece essa stessa si descrive impegnata in una disputa commerciale: tratta gli educatori Lgbt alla stregua di un idraulico ed il materiale Lgbt alla stregua di un formaggio. Sulla stessa linea, la lettera invoca pure un articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che “ha lo stesso valore giuridico dei trattati” (6 TUE), il 16: “è riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali”. Ma non stavamo parlando di diritti umani?! Ma la legge non riguardava l’educazione dei minori?!

Il terzo colpo a vuoto è il richiamo a quattro altri articoli dalla stessa Carta: il 7 (“ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”), il 9 (“il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”), l’11 (“la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”) … che tutti c’entrano come il cavolo a merenda. Successivamente, la Commissione ha sostituito il 9 con l’1 (“la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”) … un altro cavolo a merenda.

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Infine, la lettera tira fuori la propria unica, apparente, cartuccia. Un sesto articolo della stessa Carta, il 21: “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso … o l’orientamento sessuale”. Tale principio di non-discriminazione sarebbe stato violato per due ragioni. La prima, “l’omosessualità, il cambiamento di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, sono equiparate alla pornografia” ma, come osserva la FAZ, “il fatto che la questione dell’omosessualità sia stata racchiusa in un pacchetto legislativo contro la pornografia infantile … da un punto di vista giuridico è irrilevante, poiché i singoli paragrafi riguardano ciascuno ambiti molto diversi. Porre la descrizione della sessualità in sé stessa sotto la protezione dei minori è una norma legittima”. La seconda, “l’omosessualità, il cambiamento di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita … sono considerate in grado di esercitare un’influenza negativa sullo sviluppo fisico o morale dei minori” e, perciò, “violano direttamente il divieto di discriminazione basato sul sesso e sull’orientamento sessuale sancito dall’articolo 21 della Carta, negando alle persone la libertà di esprimersi, di avere la propria opinione e di godere il loro diritto a una vita privata e familiare”.

Epperò, la lettera non menziona due ulteriori articoli, che inquadrano il precedente e che stanno nella Carta dei diritti fondamentali. Il primo è il 24: “In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”. Qui, naturalmente, sorge la questione di definire quale sia l’interesse superiore del minore: se essere educato ad una divergenza fra identità personale e sesso alla nascita, o meno. In merito, la Commissione ha fatto un passo indietro rispetto alla lettera dei due Commissari e, nell’ultimo comunicato stampa, non si è spinta a sostenere una posizione; a dispetto delle roboanti dichiarazioni (“questa legge non serve alla protezione dei bambini”) e tweet (“il pride è al centro dei nostri valori europei”) della Von der Leyen, che servono solo a pescare allocchi. Al contrario, essa si è rinchiusa nel più assoluto relativismo: “La tutela dei minori è un legittimo interesse pubblico che l’Ue condivide e persegue. Tuttavia, nel caso di specie, l’Ungheria non ha spiegato perché l’esposizione dei bambini a contenuti LGBTIQ sarebbe in sé dannosa per il loro benessere o non sarebbe consona all’interesse superiore del minore”. Qui i passaggi logici sono due: il primo, l’Ue non sa se sia nell’interesse dei minori educarli a scuola alla divergenza fra identità personale e sesso; il secondo, è obbligo dello Stato membro dimostrare alla Ue quale sia l’interesse del minore.

Ma è così? No. Infatti, i trattati scolpiscono la “responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione” (165 Tfue). Ripetiamolo: il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, non è materia trasferita alla Ue, bensì materia di esclusiva competenza nazionale. Lo Stato membro alla Ue non deve dimostrare un bel niente. La Commissione non ha titolo ad aprir bocca, non si deve proprio impicciare.

Tale riserva non può essere superata da qualsivoglia articolo della Carta dei diritti fondamentali, in quanto “le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati” (6 TUE). Ma pure se ciò accadesse (e non sapremmo come), ebbene un ultimo articolo della Carta, il 14, taglierebbe comunque la testa al toro: “il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro [proprie] convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche”. Quindi, quand’anche non fosse lo Stato membro a dover dire se sia nell’interesse dei minori educarli a scuola alla divergenza fra identità personale e sesso … ebbene, pure in tale denegato caso, a decidere sarebbero i genitori. Non la Ue. Così i trattati.

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Insomma, la Commissione richiama i trattati fior da fiore e come le pare: ignorando articoli che esistono ma che ad essa non piacciono. In tal modo, inventandosi trattati immaginari o, meglio, innovando i trattati che esistono. Ciò che assolutamente non è nei suoi poteri. La Ue non è una federazione, bensì una organizzazione internazionale creata dagli Stati coi trattati: i poteri che gli Stati non hanno dato alla Ue, la Ue non li ha. La Ue non può modificare i trattati, solo gli Stati possono: gli Stati sono i signori dei trattati.

Chi desideri che l’Ue (e non gli Stati membri) imponga un’educazione dei minori a scuola alla divergenza fra identità personale e sesso, prima deve portare a casa una revisione dei trattati. Una revisione che assegni all’Ue poteri che l’Ue non ha. Una revisione che dovrà ottenere il consenso unanime di tutti gli Stati membri, quindi pure dell’Ungheria. Buona fortuna. Nel frattempo, l’Ungheria ha ragione e l’Ue torto, marcio.

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Il tema del contendere, quindi, non sono i “diritti Lgbt”. Il tema del contendere è la innovazione dei trattati senza modificare i trattati: fondare un nuovo regime giuridico … indipendente dai trattati e, quindi, fondato sul nulla. Questo il vero tema del contendere fra i capi di Stato e di Governo all’Eurosummit del 24-25 giugno, dove si è parlato quasi solo della legge ungherese. Con Macron il federalista; Draghi giunto a blaterare che “spetta alla Commissione stabilire se Budapest viola o meno le regole” … come avesse potere costituente; Rutte impegnato a sottrarre fondi ai soci dell’est; i polacchi in difesa a catenaccio della lettera dei trattati. Mentre Prodi grida alla lotta contro l’“autoritarismo” ungherese e Schäuble difende l’Ungheria.

A tutti loro (a parte rare eccezioni: forse il Lussemburghese, forse la Finlandese), degli Lgbt importa come al fabbro importa della saldatrice e all’idraulico importa della chiave inglese.

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