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#Muro30 – 18. L’ultimo anniversario della DDR sotto l’assedio dei manifestanti: “Noi siamo il popolo”

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Nel bel mezzo della grande fuga, la DDR celebra il 7 ottobre il suo quarantesimo anniversario. Come se niente fosse, Honecker si gode la sfilata della gioventù comunista e proclama il radioso avvenire della Repubblica Democratica. Intanto, dietro le quinte si sta giocando un’altra partita. Gorbachev, invitato d’onore, arriva il giorno prima, ma fin dal 2 ottobre alcuni esponenti di primo piano della SED, Krenz e Schabowski su tutti, stanno preparando la successione del vecchio leader.

Dopo la parata si riunisce il Politburo alla presenza del segretario del PCUS. Gorbachev parla di glasnost e perestrojka e ammonisce i presenti sulla necessità di cambiare in tempo per non esser “puniti dalla vita”. Un messaggio chiaro a una dirigenza che sta perdendo il controllo del Paese, anche se Honecker sembra non coglierlo e pronuncia il suo discorso trionfale preconfezionato, alieno alla realtà che da lì a poco assalterà definitivamente le apparenti certezze del potere costituito. Poche ore dopo, fuori dal Palast der Republik dove si svolge la cena ufficiale, centinaia di manifestanti si riuniscono per gridare “Gorbi, aiutaci!”. Una prima assoluta per la capitale, dal 1953. Erich Mielke, il capo della Stasi, schiera quella notte 15.000 agenti nelle strade di Berlino Est: alla fine saranno più di cento i feriti, un migliaio i detenuti, mentre i giornalisti occidentali vengono espulsi e le linee telefoniche con Berlino Ovest tagliate. Stesse scene a Dresda, Lipsia, Chemnitz, Jena e Postdam.

È proprio a Lipsia dove da qualche mese un’opposizione sotterranea si sta strutturando attorno a due nuclei: la piattaforma civica Neues Forum e la Nikolaikirche, la parrocchia protestante al centro della città vecchia in cui ogni lunedì centinaia di cittadini si riuniscono per una preghiera comune. Quell’appuntamento diventa poco a poco un’occasione di critica aperta al regime, sotto gli occhi degli agenti della Stasi che però non possono evitare gli incontri. Ma il 9 ottobre davanti alla Nikolaikirche si radunano 70.000 persone in una manifestazione non autorizzata. La polizia e le milizie popolari si preparano a reprimere la protesta con la forza e gli ospedali vengono allertati. Krenz, a cui Honecker ha assegnato la gestione della crisi, decide di non sporcarsi le mani e delega ai comandi locali la decisione finale. Finalmente nessuno dà l’ordine di intervenire e la manifestazione pacifica si svolge senza incidenti. “Noi siamo il popolo”, grida la folla.

Il lunedì successivo sono più di 100.000 nel centro della città: “Aprite i confini”, “Libertà di espressione e di assemblea”, queste le consegne. Un incubo per il Politburo, che il giorno dopo si riunisce e defenestra Honecker. La mossa, come detto, è pianificata da tempo e si mette in pratica con una semplice proposta di modifica all’ordine del giorno, che il segretario generale alla fine è costretto ad accogliere. I membri dell’ufficio politico della DDR votano a mani alzate la sua destituzione. Gli succede Egon Krenz che solo tre settimane prima, in visita a Pechino, aveva elogiato la repressione di Piazza Tiananmen. Per rifarsi la verginità promette di agire su un punto essenziale delle rivendicazioni popolari: la libertà di viaggiare. Ma Krenz è un’anatra zoppa, senza nessuna credibilità, un uomo dell’apparato la cui visione del mondo sta venendo meno. Il giorno del suo insediamento a Dresda marciano in 50.000, a Lipsia sono sei volte tanto a chiedere esplicitamente elezioni libere e multipartitismo.

Il 4 novembre tocca a Berlino. Una manifestazione semi-autorizzata vede la partecipazione di mezzo milione di persone sulla Alexanderplatz. Ci vanno anche alcuni membri della SED, nel tentativo di accreditarsi come riformisti, ma vengono accolti da fischi. Tra di loro Schabowski, il cui nome pochi giorni dopo entrerà nella storia, e il capo del controspionaggio Markus Wolf. A tutti è chiaro che ormai appartengono al passato. Per calmare le acque Krenz opta per l’apertura della frontiera con la Cecoslovacchia ma la decisione aumenta l’intensità delle rivendicazioni e provoca un secondo grande esodo. Stavolta Praga lascia passare i tedeschi orientali in transito verso la Germania Ovest. Al momento della caduta del Muro se ne saranno andate altre 200.000 persone. Il nuovo segretario generale tenta allora l’ultima mossa disperata: annuncia la possibilità di viaggiare all’estero, previa autorizzazione e garanzia di ritorno in patria, per un mese all’anno. La risposta della cittadinanza è una massiva manifestazione la sera del 6 novembre a Lipsia, in cui si chiede senza mezzi termini la fine del comunismo. In un vortice di eventi a catena un regime implode, uno stato si svuota e un’ideologia muore. Mai visto nulla di simile nella vecchia Europa.

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