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E se il “centro” fosse il Movimento 5 Stelle?

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L’Italia è l’unico Paese europeo dove le urne hanno sonoramente bocciato – e reso anche numericamente impossibili – le “larghe intese”: non è un caso che i grandi sconfitti delle ultime elezioni siano proprio i partiti che si erano resi protagonisti del patto del Nazareno. Il panorama politico italiano si muove così in controtendenza rispetto alle principali democrazie europee. In Francia, l’affermazione di Macron è stata, di fatto, una vittoria “centrista” che, al tempo stesso, ha svuotato i partiti tradizionali e saputo offrire un credibile punto di riferimento – e, soprattutto, un leader forte – alla cosiddetta “maggioranza silenziosa” moderata che (ancora) non si è fidata di Marine Le Pen. In Germania, seppur dopo una lunga ed estenuante trattativa, ha prevalso come di consueto il pragmatismo delle larghe intese che ha proposto la riedizione di un esecutivo tra CDU e socialisti sotto la guida, scontata, di Angela Merkel. In Spagna, Rajoy è dovuto scendere a compromessi con Ciudadanos e accettare l’appoggio esterno di una parte dei socialisti.

Questo trend che porta alla formazione di governi allargati o di coalizione si è verificato anche in Italia nel corso della legislatura appena conclusa, quando esponenti del centrodestra hanno accettato di far parte dell’esecutivo di Matteo Renzi. Si può sostenere, dunque, che il “centro” sia sostanzialmente ridimensionato rispetto a qualche anno fa, anche in prospettiva comparata rispetto ad altre realtà europee: ciò è parzialmente vero poiché, a differenza del resto d’Europa, in Italia è necessario analizzare un’ulteriore, scomoda variabile, il Movimento 5 Stelle. Un soggetto politico che ha le caratteristiche tipiche del catch-all party, ma che sta portando questo concetto verso un’ulteriore evoluzione: la sua capacità di istituzionalizzarsi e di essere camaleontico mutando rapidamente linguaggio, programma e front-man (da Grillo a Di Maio), nonché un’affermazione elettorale che l’ha visto sì trionfare al Sud ma registrare buoni consensi anche in alcune aree del Nord, ne fa paradossalmente il candidato più credibile in grado di occupare lo spazio lasciato vacante dall’area “moderata”, ricordando una sorta di Democrazia Cristiana 4.0. Uno scenario, questo, molto più realistico rispetto a fantasiose operazioni di fusione fredda fra “ribelli” forzisti e democratici che farebbe ben poca strada a livello elettorale.

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