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Tra Usa e Iran un conflitto lungo quarant’anni: il cambio di passo di Trump

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La crisi in Medio Oriente tiene ancora oggi le opinioni pubbliche di tutto il mondo con il fiato sospeso. Com’è noto, i problemi fra Stati Uniti e Iran hanno radici che risalgono al “secolo breve”.

Il 4 novembre del 1979 un gruppo di studenti iraniani ha assaltato l’ambasciata americana a Teheran prendendo in ostaggio 52 diplomatici, tutelati dall’immunità prevista dal diritto internazionale.

Un fatto che rischiava di ripetersi il 31 dicembre 2019, quando la Green Zone di Baghdad è stata violata in un tentativo di assalto orchestrato da terroristi paramilitari iracheni e sostenuto da Hadi al-Amari e Faleh al-Fayad, milizie sciite alleate dell’Iran.

Nei mesi ancora precedenti, a maggio, il regime di Teheran aveva attaccato alcune petroliere nel Golfo Persico; a giugno ha abbattuto un drone Usa nello stretto di Hormuz; a settembre dimezzato per alcuni giorni la produzione petrolifera saudita con uno strike missilistico sugli impianti di Abqaiq e Khurais; a dicembre, ha ucciso un contractor americano e ferito altri militari statunitensi e iracheni con un lancio di missili sulla base di Kirkuk.

Questa escalation ha portato Mark Esper, il segretario della Difesa americana, a lanciare un monito: sarebbero state adottate tutte le misure preventive necessarie per proteggere le forze americane.

E il 3 gennaio il presidente Donald Trump ha ordinato, dando seguito alle parole di Esper, l’uccisione di Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds, con un drone MQ-9 Reaper, spiegando che la decisione è stata presa per aumentare il grado di protezione del personale americano all’estero.

Soleimani è responsabile direttamente o indirettamente della morte di centinaia di soldati statunitensi e stava pianificando attacchi ad altre installazioni americane.
L’idea che non si trovasse in Iraq per le vacanze trova conferme nel fatto che al momento dell’attacco fosse in compagnia del vicecapo delle forze di mobilitazione popolari, la milizia ombrello delle milizie sciite in Iraq che avevano partecipato all’assalto all’ambasciata americana di pochi giorni prima.

La risposta di Khamenei dell’8 gennaio con lo strike missilistico sulle basi di Al Asad ed Erbil, oltre all’abbattimento di un Boeing 737 dell’Ukrainian Airlines che ha causato la morte di 176 civili, ha messo fragorosamente a nudo la debolezza iraniana.

Delle 80 vittime dichiarate dalla televisione nazionale iraniana nessuna di queste ha trovato conferma.

Il ministro degli esteri iraniano Zarif, sapendo di non potersi permettere uno scontro simmetrico con gli Usa e tantomeno di proseguire nel bluff, ha prontamente fatto appello allo stesso diritto internazionale che l’Iran ha spesso violato allo scopo di ricondurre la crisi all’interno del framework delle Nazioni Unite, facendo appello all’art. 51 della Carta Onu.

Il presidente Trump, vincitore di questa mano, si è detto disposto ad accettare una de-escalation, ricordando con fermezza jacksoniana come l’Iran debba abortire qualsiasi progetto di sviluppo dell’arma atomica. La deterrenza Usa nell’area è stata restaurata, l’inner circle iraniano ha ricevuto il messaggio (nessuno è più intoccabile come ai tempi di Obama) e i rischi di un nuovo conflitto su larga scala in Medio Oriente sono stati allontanati.

Ciò che non accenna a diminuire, invece, è l’ondata di violenza e la violazione sistematica dei diritti umani perpetrate dal regime della Repubblica Islamica in occasione delle insurrezioni popolari di queste ultime ore. Gli studenti iraniani, mobilitatisi a migliaia, hanno levato al mondo la propria voce di protesta nei confronti delle bugie di ayatollah e Pasdaran, con epicentro della rivolta l’università Beheshit a Teheran.
Al silenzio assordante dell’Unione europea si è contrapposto il monito del presidente Trump al regime: la smetta di “uccidere e imprigionare chi protesta, sbloccando internet e lasciando che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro”.

Ricordiamo in conclusione che durante le proteste dello scorso novembre persero la vita diverse centinaia di civili iraniani, vittime di esecuzioni di piazza e pubbliche impiccagioni spesso consumatesi con estrema efferatezza di fronte allo sguardo inerme di bambini e adolescenti.

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