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Salvini chiamato a una prova di maturità: da capitano a leader di un centrodestra nuovo

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Lo scoglio, ammesso che fosse tale, della votazione online del Movimento 5 Stelle sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini in merito al caso Diciotti, è stato appena superato tramite la maggioranza degli iscritti alla piattaforma Rousseau, che non vuole alcun processo a carico del ministro dell’interno. Il governo rimane in piedi e sfuma il rischio di una crisi imminente. La Giunta per le immunità del Senato si è espressa quindi contro l’autorizzazione a procedere verso Matteo Salvini e il voto definitivo di Palazzo Madama, previsto a fine marzo, non dovrebbe dare più alcuna sorpresa. Forse la suspense, creatasi attorno al voto online della base grillina, era più giornalistica che politica. Ancor prima di conoscere il risultato, da parte leghista vi erano già ampie rassicurazioni sulla tenuta, in ogni caso, dell’esecutivo e lo stesso Di Maio non sembrava particolarmente agitato. Bisogna anche dire che il ricorso, da parte del Movimento 5 Stelle, alla piattaforma Rousseau, non gode di una credibilità, diciamo così, solenne. Comunque sia, è andata e il governo gialloverde dovrebbe proseguire, come dicono in tanti, almeno sino alle elezioni europee e magari andare anche oltre.

Pur archiviando il caso Diciotti, permane però il problema delle differenti posizioni di Lega e M5S su tanti dossier importanti, che purtroppo può portare a non decidere o a rimandare per ridurre al minimo le fibrillazioni all’interno della maggioranza gialloverde. È evidente però come sia Salvini che Di Maio non siano stati votati lo scorso anno per tirare a campare andreottianamente e, se determinati compromessi possono durare e magari anche funzionare fino alle Europee o addirittura un poco più in là, difficilmente sarebbero salutari per i prossimi quattro anni, ovvero per tutta la durata dell’attuale legislatura. Oltre al logoramento pentastellato, già iniziato peraltro, giungerebbe pure quello di Salvini e della Lega, al momento in piena salute. Nel breve e medio termine il Governo Conte deve fare il possibile per continuare il proprio cammino. Salvini non può che ribadire l’intenzione di governare con il M5S e Di Maio, dal canto suo, è quasi costretto a convincere e a convincersi circa un governo di legislatura. Non potrebbero, del resto, rimarcare la volontà di guidare insieme l’Italia e ammettere al tempo stesso di avere una scadenza da yogurt. Ciò fa parte del gioco e delle logiche politiche, così com’è naturale, per esempio, che Martina affermi in questa fase di non auspicare alcun avvicinamento fra il Pd e un M5S, che secondo il candidato alla segreteria del Partito democratico si è spostato a destra.

Ma se improvvisamente, per qualche ragione, l’alleanza gialloverde dovesse venire meno, siamo proprio sicuri che il Pd rinuncerebbe a corteggiare almeno quella parte di 5 Stelle più orientata a sinistra? E siamo inoltre certi che quei pentastellati come Roberto Fico, se non ci fossero più speranze con la Lega, ignorerebbero il richiamo della foresta? Matteo Salvini, per quanto il suo interesse odierno sia quello della continuità di una formula di governo che semmai indebolisce soltanto i compagni di viaggio del Carroccio, deve tenersi pronto per qualsiasi scenario in modo da poter reagire, magari non domani, ma dopodomani. Il Movimento 5 Stelle non è solo Di Maio, con il quale il leader leghista sembra capace di trovare quasi sempre una quadra, ma anche Beppe Grillo e il suo ruolo intermittente che fa danni quando si attiva. C’è una base grillina che va spesso in crisi, dalla vicenda Diciotti a tante altre questioni. La sconfitta abruzzese, i sondaggi non molto incoraggianti e i malumori dei militanti, potrebbero spingere anche i più filogovernativi del M5S a tirare la corda sino a spezzarla, nel tentativo di recuperare l’identità e la verginità perdute, come si sta dicendo in queste ore, con il no all’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. Poi, come abbiamo già detto, nel lungo periodo è in agguato il pericolo di indebolimento leghista a causa della difficoltà di decidere in campi decisivi come le grandi opere, l’economia e la politica estera.

Matteo Salvini ha finora dato prova di grande intelligenza politica e probabilmente ha già i suoi piani per affrontare il dopo-Conte, ma ci permettiamo di aggiungere qualche ragionamento. Al vicepremier e ministro dell’interno converrebbe gettare le basi, già adesso per il dopodomani, di un centrodestra nuovo. L’aggettivo lo poniamo per secondo, al fine di non far tornare alla mente quel nuovo centrodestra di alfaniana memoria, nato male e morto malissimo. Forse lo stesso termine “centrodestra” è divenuto meno rappresentativo della realtà, ma lo utilizziamo per comodità di linguaggio. La sostanza dovrebbe essere comunque quella di una coalizione capeggiata inevitabilmente da chi ha più voti, ovvero la Lega, e sostenuta da altre componenti, (FdI, forzisti come Toti e gruppi finora fermi all’impegno civico/locale o culturale). Non sarebbe male se all’esistente si aggiungesse qualcosa di inedito dal sapore conservatore e liberale, ma forse è chiedere troppo. Un’alleanza alternativa tanto al Pd quanto al M5S, capace di essere forza autosufficiente di governo. Non si tratterebbe affatto, per Salvini, di un ritorno fra le braccia di Berlusconi. Il Cav sembra impegnato, attualmente, attraverso un nuovo presenzialismo televisivo, in una battaglia tutta sua che forse non coinvolge nemmeno l’intera Forza Italia.

Un centrodestra nuovo, spinto anche da quei settori di FI che vogliono legittimamente sottrarsi al declino personalistico di un leader dall’importante passato, ma che oggi fatica ad interpretare il presente, condurrebbe Silvio Berlusconi dinanzi al fatto compiuto, aiutandolo a comprendere i principali mutamenti degli ultimi tempi. Forse c’è già un’idea simile, al momento inconfessabile e parcheggiata in garage, ma pronta per essere messa su strada alla fine, ancora imprevedibile, della collaborazione Lega-M5S. Lo si percepisce dalle posizioni più recenti di Matteo Salvini che non sono banalmente moderate, ma responsabili e in grado di rivolgersi ad una platea più vasta di elettori rimasti orfani del vecchio centrodestra. Chi, per ragioni di parte o di carriera giornalistica, deve, per forza di cose, continuare con la vulgata del “mostro” Salvini, proseguirà a descriverlo come un razzista invasato e un fascista, al pari del Berlusconi di diversi anni fa, che non poteva che essere piduista e mafioso, ma il vicepremier leghista, anche dinanzi alle scorribande grilline, si sta facendo interprete di quell’Italia che va anche oltre la Lega e vuole solo, oltre alla sicurezza, un Paese più efficiente e con maggiore benessere economico, dove si possa lavorare e produrre senza essere mortificati dallo Stato-padrone, e ladrone.

Considerate le alternative, Salvini potrebbe trasformarsi in un leader rassicurante, ma non immobilista, capace di farsi preferire, magari anche come male minore, rispetto ad altri scenari ben peggiori. Oltre all’immigrazione, Salvini sceglie la Tav e le grandi opere, nonostante le difficoltà con l’alleato pentastellato. Sceglie Guaidò rispetto a Maduro, in un’ottica di solidarietà occidentale e transatlantica. Sceglie Israele, senza ipocrite equidistanze. Combatte, per quanto gli è possibile, le degenerazioni anti-mercato del M5S come le chiusure domenicali dei negozi. Non gioisce con la bava alla bocca per l’arresto dei genitori di Renzi. Insomma, si tratta di posizioni di un centrodestra di questo tempo, diverso dalla vecchia alleanza che non potrà più tornare, ma anche dal mero avventurismo. Qualcuno, più che comprensibilmente, può ancora fare fatica a digerire l’idea di una leadership salviniana in una coalizione, e non più nella sola Lega, a causa delle marcate simpatie per Vladimir Putin, nei confronti del quale, tuttavia, Silvio Berlusconi non era certo da meno.

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