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Pompeo detta le condizioni all’Iran. E al Congresso già si lavora per mettere l’Europa davanti a un bivio

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Mentre l’Europa fatica ad elaborare il lutto, gli Stati Uniti hanno già elaborato la loro strategia post-ritiro dall’accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano. Il più grande dei bastoni, ma anche la più grande delle carote, ha agitato nei confronti del regime (e del popolo) iraniano il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, illustrando ieri alla Heritage Foundation la nuova politica dell’amministrazione Trump sull’Iran. Ha minacciato una “pressione finanziaria senza precedenti”, “le sanzioni più dure della storia”, “scoveremo e annienteremo gli agenti iraniani e le loro milizie in tutto il mondo”, se Teheran non muterà la sua politica aggressiva. E se “dovesse decidere di tornare indietro, di ricominciare ad arricchire uranio a pieno regime, siamo pronti a rispondere”, ha aggiunto, senza specificare quale tipo di risposta, se militare oltre alle sanzioni. In ogni caso, l’obiettivo è chiaro: “Ci assicureremo che l’Iran non abbia né ora né mai accesso all’arma nucleare” e che “non abbia mai più carta bianca per dominare il Medio Oriente”.

Ma Pompeo ha anche aperto alla revoca di tutte le sanzioni, ad un trattato, stavolta ratificato dal Congresso Usa, e persino alla “piena ripresa delle relazioni diplomatiche e commerciali”, a fronte di “importanti cambiamenti” da parte del regime di Teheran: non solo il definitivo, irreversibile e verificabile abbandono del programma nucleare, ma anche una totale revisione della sua postura militare nella regione. Una lista di dodici richieste molto precise: l’Iran deve dichiarare in modo accurato e completo le dimensioni militari del suo programma nucleare e abbandonarlo in modo permanente e verificabile; fermare il processo di arricchimento di uranio; garantire un incondizionato accesso degli ispettori a tutti i siti; cessare il suo programma di missili balistici e lo sviluppo di qualsiasi sistema missilistico in grado di trasportare testate nucleari; cessare il suo sostegno ai gruppi terroristici in Medio Oriente, compresi Hezbollah, Hamas e Jihad islamica; rispettare la sovranità irachena e permettere il disarmo delle milizie sciite; cessare il suo sostegno militare alle milizie Houthi nello Yemen; ritirare tutte le forze sotto il suo controllo in Siria; cessare di sostenere i Talebani e altri terroristi in Afghanistan e nella regione, e di dare rifugio ai leader di al-Qaeda; fermare il sostegno da parte delle forze al Quds a terroristi e milizie in tutto il mondo; smettere di minacciare i suoi vicini, Israele e Arabia Saudita in primis; e infine, rilasciare tutti i cittadini americani tenuti ostaggi.

“No, non è un sogno irrealizzabile chiedere alla leadership iraniana di comportarsi come un Paese normale, responsabile”, ha chiosato Pompeo. Gli Stati Uniti in questo caso supporterebbero la modernizzazione economica del Paese e la sua integrazione nel sistema finanziario globale. Un chiaro messaggio anche al popolo iraniano e agli oppositori interni: non ce l’abbiamo con l’Iran, ma con i suoi leader.

E infatti è stata nettissima nel suo discorso la distinzione: da una parte c’è il regime, dall’altra gli iraniani. “Noi siamo schierati in totale solidarietà con il popolo iraniano contro questo brutale regime”. Che “deve trattare meglio i suoi cittadini, rispettare i diritti umani, smettere di sperperare la ricchezza del Paese all’estero”. Gli iraniani sono “profondamente delusi” della decisioni dei loro leader. I lavoratori non vengono pagati, il governo è mal gestito, la corruzione enorme, il Rial sta affondando e la disoccupazione è elevata. Le donne iraniane meritano le stesse libertà degli uomini. “Noi chiediamo al popolo iraniano: volete che il vostro Paese sia noto come cospiratore insieme a Hezbollah, Hamas, i Talebani e al Qaeda? Gli Stati Uniti pensano che meritiate di meglio”. Alla vigilia del suo 40esimo anniversario, è il momento di chiedersi cosa abbia portato la Rivoluzione islamica al popolo iraniano. Quello del regime è “un raccolto di sofferenza e morte in Medio Oriente a spese del suo stesso popolo”.

Il segretario di Stato ha spiegato così la decisione del presidente Trump di ritirarsi dal Jcpoa: “L’accordo ha fallito nel garantire la sicurezza del popolo americano dai rischi generati dai leader iraniani”. Dal punto di vista strategico, l’amministrazione Obama ha scommesso che l’Iran Deal avrebbe reso la regione più stabile, che avrebbe indotto l’Iran a fermare le sue attività da rogue state e rispettare le norme internazionali. Una scommessa che si è rivelata “perdente”, con “enormi ripercussioni su tutti i popoli che vivono in Medio Oriente”. La leadership iraniana, ha osservato Pompeo, avrebbe potuto usare i soldi derivanti dal Jcpoa per far riprendere la propria economia e alleviare le sofferenze della propria gente. “Invece, il regime li ha spesi per alimentare guerre per procura e riempire le tasche dei Guardiani della Rivoluzione, di Hezbollah e Hamas”, vedendo nell’accordo “un via libera per la sua marcia sul Medio Oriente”, che infatti mentre è rimasto in vigore, fino ad oggi, è avanzata senza resistenze.

L’amministrazione Trump ribalta così tre assunti sbagliati dell’amministrazione Obama, osserva Eli Lake su Bloomberg: che si potesse convivere con l’aggressione e l’espansione iraniana nella regione in cambio di limiti temporanei al suo programma nucleare; che l’accordo del 2015 fosse espressione della comunità internazionale – mentre era inficiato alla base dal momento che i più colpiti dalle politiche iraniane, Israele e Arabia Saudita, non furono inclusi nei negoziati; e che una leadership erroneamente ritenuta “moderata” potesse mutare la natura aggressiva, sia all’esterno che all’interno, del regime. Ora le nuove sanzioni, “le più dure della storia”, obbligheranno Teheran a scegliere non solo tra la propria economia e il programma nucleare, ma tra un’economia che vada oltre la mera sussistenza e continuare a dilapidare enormi ricchezze in guerre all’estero. “Non avrà le risorse per entrambe le cose”, assicura Pompeo.

“Vogliamo il sostegno dei nostri più importanti alleati”, ha chiarito il segretario di Stato, chiamando tutte le nazioni amiche (nominandole una ad una) a far parte della nuova campagna di pressione per isolare economicamente il regime iraniano. Stavolta, dunque, coinvolgendo nel processo non solo europei, russi e cinesi. Team di diplomatici ed esperti saranno inviati a spiegare ai partner la nuova politica americana, a discutere le implicazioni delle sanzioni e ad “ascoltare”. Pompeo si è detto consapevole che gli alleati europei “potrebbero provare a salvare il vecchio accordo – è certamente una loro decisione. Ma ora sanno qual è la nostra posizione”. “Comprendiamo che il ritorno delle sanzioni e la prossima campagna di pressione sul regime iraniano causerà delle difficoltà economiche e finanziarie ai nostri amici. Vogliamo ascoltare le vostre preoccupazioni, ma sappiate – ha avvertito – che riterremo responsabile chi farà affari proibiti con l’Iran”.

Ma proprio mentre a Washington si sta delineando la nuova strategia per affrontare la minaccia iraniana, i governi europei stanno esaminando una serie di opzioni per contrastare e/o aggirare le sanzioni Usa in modo da poter continuare a fare affari con la Repubblica islamica e quindi salvare il Jcpoa. Peccato che a Capitol Hill, i congressmen stiano già studiando misure per fare in modo che qualsiasi Paese europeo cerchi di schivare le sanzioni incorra in severe ripercussioni. Chi è a conoscenza del dossier parla di possibili sanzioni anche alla Banca europea per gli investimenti. In Europa si parla dello “statuto di blocco”, ma “nessuno statuto può evitare a una compagnia europea di perdere il suo accesso al sistema finanziario Usa”. Alla Casa Bianca e al Congresso si sta lavorando per mettere le imprese europee, e i loro governi, di fronte a una scelta binaria: fare affari con l’Iran, o mantenere l’accesso al sistema economico e finanziario americano. Tertium non datur.

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