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Il piccolo Alfie, il vero tema (chi decide) e il doppio standard dei laici illiberali

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Il piccolo Alfie Evans se n’è andato, “ha posato il suo scudo e si è guadagnato le ali”, come ha scritto il padre su Facebook con il cuore spezzato. Ma se n’è andato non senza aver messo in imbarazzo medici e giudici, e scosso (si spera) le certezze di molti. Una volta eseguita la sentenza dell’Alta Corte britannica, e staccato dalla macchina che lo aiutava a respirare, sarebbe dovuto morire in 15 minuti, così avevano previsto i medici dell’ospedale di Liverpool dove era ricoverato, ma Alfie ha resistito cinque giorni respirando più o meno autonomamente ma senza più l’ausilio della macchina. Dopo sei ore, l’hanno dovuto idratare per impedire che morisse di sete. Convocata d’urgenza una nuova udienza, il giudice ha deciso di autorizzare il suo ritorno a casa, fino a quel momento negato, ma non il suo trasferimento all’ospedale Bambino Gesù di Roma. Se un bimbo ancora in vita mette in imbarazzo i suoi medici, forse c’è qualcosa che non va. Forse, la sua breve, tragica, intensa esistenza ci farà tornare – almeno si spera – ad una buona e sana pratica: il dubbio.

Si tratta di questioni complicate che toccano la coscienza di ciascuno, perché ciascuno di noi si potrebbe trovare in situazioni simili. La mia personale opinione è che il tema più delicato non stia nella diagnosi, nelle condizioni alle quali la vita sia degna o meno di essere vissuta, su cui ci si divide purtroppo ideologicamente, ma *chi decide*, come ha sottolineato in alcune interviste anche Beppino Englaro, con lucidità e coerenza rispetto alla vicenda di sua figlia Eluana.

Non ho riscontrato purtroppo la stessa coerenza in molti “esperti”, scienziati e professionisti di biotestamenti e di eutanasia… Purtroppo non ho capito (ma forse è un mio limite) se per Alfie, Marco Cappato, autore del bestseller “Credere Disobbedire Combattere”, avrebbe obbedito o disobbedito alla sentenza del giudice (e di alcuni medici…).

Nella battaglia legale di Beppino Englaro, in cui la volontà della figlia Eluana era solo riferita dal padre, eravamo al suo fianco non tanto perché consideravamo personalmente inaccettabile la condizione in cui si trovava, ma perché ritenevamo che in ogni caso non dovesse essere lo Stato, attraverso i giudici, a decidere. La violenza per anni subita da Eluana e suo padre è della stessa natura di quella subita da Alfie e i suoi genitori, anche se opposte le volontà espresse: lasciar andare nel primo caso, avere un’ultima chance nel secondo.

Ogni caso è diverso dall’altro, non solo dal punto di vista medico ma anche per l’unicità di ogni essere umano coinvolto. E si tratta così spesso di casi limite anche per la medicina che voler arrivare ad una procedura codificata, addirittura per legge, rischia di far perdere di vista il cuore del problema.

La mia preoccupazione non è stabilire – anche un po’ morbosamente – se e quanto il paziente sia in fase terminale, fino a che punto sia ormai ridotto ad un vegetale, se e quanto soffra. Nei casi limite di cui stiamo parlando non esistono certezze dal punto di vista scientifico. Persino i medici si esprimono sempre in termini probabilistici, qualche volta venendo smentiti. Dunque, ha poco senso accapigliarsi su quale vita, o “fine-vita”, sia degna di essere vissuta, perché prim’ancora che i valori, ci dividerà sempre la situazione concreta in cui ci troveremo. Non vorrei che una Binetti, con tutto il rispetto, volesse curarmi e assistermi a tutti i costi, ma nemmeno che un giudice arrivi a impedirmi di trasferire mio figlio in un’altra struttura ospedaliera. In un caso come nell’altro, si tratterebbe di ostaggi. La mia preoccupazione – e credo debba essere quella di chi si ritiene liberale – è che sia la sfera della decisione individuale, e nei casi di pazienti incoscienti o minori dei loro cari, a prevalere.

Credo infatti che la cosa davvero inaccettabile nel caso di Alfie non sia stata la decisione dei medici in se stessa. I medici possono in scienza e coscienza decidere di dover sospendere terapie che ritengono rientrare ormai nella categoria “accanimento”. E a mio modo di vedere – cosa che scandalizzerà molti – sarebbe persino un dovere di qualsiasi servizio sanitario nazionale, cioè della sanità pubblica, valutare il rapporto costi-benefici, essendo le risorse per definizione limitate e pubbliche. Ciò che a mio modo di vedere è inaccettabile è impedire ai genitori di avere altri pareri medici, l’assistenza di un’altra struttura, provvedendo con risorse proprie oppure offerte dalla generosità altrui.

Purtroppo, nei commenti seguiti alla conclusione di questa vicenda si è aggiunto qualcosa di spiacevole. L’argomento del presunto “egoismo” dei genitori di Alfie nel volerlo tenere in vita, in generale di una visione “proprietaria” dei figli (come ha scritto il professor Zagrebelsky su La Stampa) da contrastare, mi sembra scivoloso, un boomerang, soprattutto se avanzato proprio da chi è a favore di qualsiasi tecnicismo purché si possa diventare genitori, per esempio attraverso la maternità surrogata.

Qui siamo oltre il processo alle intenzioni. Siamo al processo ai sentimenti. Premessa: sono cautamente a favore di queste tecniche, dalla fecondazione eterologa alla maternità surrogata, non permettendomi di giudicare situazioni e motivazioni altrui. Ma se la mettiamo su questo piano, quello dell'”egoismo”, con i genitori di Alfie, come giudicare chi non riesce ad avere figli naturalmente, o chi non può, come una coppia omosessuale? Bisognerebbe presumere anche il loro egoismo, se sono disposti ad avere un figlio pur negandogli deliberatamente la possibilità di conoscere la madre biologica? Dove finisce il gesto d’amore e inizia l’egoismo? Chi può permettersi di ergersi a giudice? Può esserci un egoismo di “serie A”, legittimo, quello di una coppia gay per esempio, e uno di “serie B”, da condannare, quello dei genitori di Alfie? E pensiamo ai tanti parenti che al contrario accolgono con triste sollievo la decisione dei medici di “staccare la spina”? Forse per egoismo, qualcuno potrebbe insinuare…

E chi oggi con il ditino alzato condanna una visione “proprietaria” dei figli, si è mai espresso per la revoca della potestà genitoriale a quei genitori rom che sfruttano i figli per accattonaggio e furti – norme disapplicate ogni maledetto giorno?

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