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Niente Green Pass in UK: Parlamento e imprenditori contrari. E l’alternativa non sono le chiusure

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Boris Johnson mette in soffitta il Green Pass. Domenica, di fronte alle telecamere dell’Andrew Marr Show della Bbc, il ministro della salute Sajid Javid ha confermato il no al passaporto vaccinale da parte dal governo conservatore, che annuncerà questa settimana le misure per affrontare la pandemia durante la prossima stagione autunnale e invernale. “Non dobbiamo fare le cose giusto per farle” ha detto Javid, “e non dobbiamo farle perché gli altri le fanno”, ha aggiunto.

Da quando ha preso il posto di Matt Hancock al Dipartimento della Salute, Javid, ex Cancelliere dello Scacchiere, è stato uno degli “aperturisti” più convinti: non esiste solo l’emergenza Covid per il Servizio Sanitario Nazionale (NHS), ma sono altre le malattie che necessitano di cure, in particolare quelle oncologiche. Si calcola che a causa dei lockdown per il Covid quasi 6 milioni di inglesi sono in coda negli ospedali per visite e operazioni che non possono più essere rimandate. Non esistono pazienti di serie A e di serie B per l’NHS.

Eppure, fino a qualche giorno fa il governo aveva stabilito una timeline per l’introduzione del Green Pass. Lo aveva annunciato Johnson e lo avevano annunciato lo stesso Javid e il ministro per la distribuzione dei vaccini, Zahavi. Cosa è successo nel frattempo? Perché i Tories hanno cambiato idea? Come ogni misura presa all’inizio della crisi pandemica, il governo deve passare dalla Camera dei Comuni per la sua approvazione. E sul Green Pass non c’è alcuna maggioranza in Parlamento. I backbenchers conservatori hanno già mal digerito i tre lockdown e il recente aumento delle tasse portato avanti dal governo e non hanno intenzione di dare la luce verde a un nuovo provvedimento restrittivo delle libertà individuali. Pure il leader dei Lib Dems, Sir Ed Davey si è esposto contro il provvedimento definendolo “divisivo, costoso e poco funzionale”, mentre il Labour non ci sta a sostenere, come ha fatto nel recente passato, misure che sarebbero approvate con i voti degli MPs laburisti e che senza esporrebbero il governo quantomeno a brutte figure.

In realtà, la questione in cui si dibatte Johnson è molto più profonda. Il suo governo ha alternato misure draconiane di chiusura delle attività economiche – ricordiamo il lockdown dello scorso Natale durato fino a primavera inoltrata – ma è stato il primo in Europa a riaprire tutto il 21 luglio scorso, senza distanziamento sociale e senza obbligo di mascherine (che in UK è sempre stato limitato al chiuso).

Contemperare le esigenze dell’economia e della vita sociale da una parte e quelle dell’emergenza sanitaria dall’altra pare essere la nuova via scelta da Johnson per mandare avanti il Paese e continuare a godere dell’appoggio della sua maggioranza parlamentare. Così si spiega l’addio al Green Pass – derubricato a “Piano B” – per l’ingresso in discoteche ed eventi a elevato assembramento come i concerti e le partite di calcio. Per la verità sul fronte stadi sono attivi degli spot-checks che verificano l’effettuata vaccinazione e la negatività al Covid test. Ma non c’è nessun obbligo stabilito per legge e le immagini che provengono Oltremanica mostrano stadi pieni in ogni ordine di posto.

La protesta delle associazioni dell’entertainment – che considera il Green Pass troppo penalizzante per un’industria che ha già avuto i suoi scompensi durante la pandemia – ha fatto il resto. La Night Time Industries Venue Association e il Music Venue Trust hanno affermato che il Green Pass poteva condurre a casi di discriminazione nel trattamento dei clienti e a incertezze sul futuro dell’industria. 

Johnson, intanto, lavora per far sì che l’NHS non si trovi in difficoltà a gestire il Covid. Lo strumento privilegiato nella lotta sono i vaccini. Il premier ha già comunicato che il “booster jab”, quella che noi chiamiamo “terza dose”, è pronta per gli individui più fragili e per gli anziani, e ha invitato chi non si è ancora vaccinato a farlo al più presto. Non si parla di obbligo vaccinale ma di un consiglio caldeggiato dalle autorità. Esigenze politiche ed economiche impongono ai Tories questa linea, anche considerando le difficoltà nella catena delle forniture alimentari dettata dalla mancanza di camionisti e dalla “pingdemic”, l’autoisolamento imposto tramite tracciamento a tutti coloro che sono stati a contatto con dei positivi al coronavirus

Nel partito di governo è in atto una battaglia tra chi vuole ridefinire i Tories come movimento social-conservatore tax & spend e chi non vuole abbandonare il credo thatcheriano fondato sulle libertà economiche e individuali. Al premier l’arduo compito di tenere insieme le due fazioni: se la scorsa settimana l’estensione della National Insurance aveva marcato un punto a favore dei Tories One Nation, l’abbandono del Green Pass sembra avere riequilibrato le cose in attesa della Conference del partito a ottobre a Manchester e di un rimpasto che lo stesso Johnson sembra voler rinviare alle calende greche.

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