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Ma cosa ha davvero detto Trump a Washington? Riforma elettorale e dei Social al centro del dibattito politico Usa

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 24 agosto 2019

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Dei fatti del Campidoglio abbiamo sentito tutti. Ma li conosciamo? Essi ruotano intorno a sei interventi: il primo di Trump, il secondo ed il terzo di Biden, il quarto breve di Trump, il quinto del capo della comunicazione di quest’ultimo, il sesto ancora di Trump. Parliamo qui del primo. Dal discorso è chiaro che non è stato Trump ad indicare alla folla di fare irruzione in Campidoglio, tanto meno ad incitarlo. Ed è altrettanto chiaro che il nucleo della sua proposta politica per il futuro, della sua piattaforma, è la riforma elettorale, incluso intervento sui Social Network: chi ignora tale piattaforma, ignora la sostanza del dibattito politico americano prossimo venturo.

Trump sul pratone del parco dell’Ellisse in Washington DC, la mattina dell’Epifania, ha pronunciato un lungo discorso alla folla dei propri simpatizzanti: “our movement”, il nostro movimento. La manifestazione è affollata: “arrivate sino al monumento a Washington”.

Qua e là descrive le sciagure che, secondo lui, perpetreranno i Democratici al governo (per esempio “loro volevano eliminare il Jefferson Memorial … con questa nuova amministrazione potrebbe accadere”, oppure “avete visto, l’altro giorno, Joe Biden dire: io voglio eliminare la politica di America First”, infine uno sberleffo ad Hillary Clinton), ma solo per cenni: non è quello lo scopo del discorso. La parte centrale è dedicata ad una elencazione dei brogli asseritamente subiti, lunghissima (“ma potrei continuare per un’altra ora”). Elencazione necessaria – dice – perché e i media “sono silenti. Si chiama soppressione ed è ciò che accade nei Paesi comunisti”. Il riferimento non è alla vecchia URSS, ma alla nuova Cina: è “usando il pretesto del virus cinese (China virus)” che i Democratici avrebbero fatto ciò di cui il discorso li accusa.

A causa di tali asseriti brogli, la nomina di Biden non può essere certificata: “ora spetta al Congresso affrontare questo grave assalto alla nostra democrazia” … quello portato dai Democratici, si intende, perché lui, Trump, la Costituzione la sta difendendo. “Dicono che contestare le elezioni non è americano”, ma è in realtà vero il contrario: “noi, insieme, siamo determinati a difendere e preservare il governo del Popolo, dal Popolo e per il Popolo”, che è la cosa più americana che ci sia. Non americana è l’elezione di Biden: “basta dare un’occhiata ai Paesi del terzo mondo, le loro elezioni sono più oneste di quelle alle quali abbiamo assistito in questo Paese. È una vergogna”.

Deputati e senatori repubblicani che si oppongono “sono guerrieri, sono lì dentro [nel Campidoglio] lavorando come mai si è visto prima, studiando le radici della Costituzione perché essi sanno che abbiamo il diritto di respingere un voto illegalmente raccolto”; mandarlo indietro agli Stati perché compiano un nuovo processo di certificazione: “recertify”. Dovrebbe farlo il suo vicepresidente, Mike Pence, che è pure presidente del Senato e della cerimonia di ratifica: “Ho parlato con Mike. Ho detto, Mike, non ci vuole coraggio, quello per cui ci vuole coraggio è far nulla … [E Pence:] la Costituzione non mi permette di rimandarli agli Stati. Ebbene, direi di sì, lo fa perché la Costituzione dice che devi proteggere il nostro Paese, e devi proteggere la nostra Costituzione, e non puoi votare con la frode, e le frodi distruggono tutto, no? Quando cogli un frodatore, puoi seguire regole molto diverse. Quindi spero che Mike abbia il coraggio di fare quello che deve fare, e spero che non ascolti i RINOs (Republicans in name only) e le sciocche persone che sta ascoltando”.

Dopo Pence, la Corte Suprema: “Sapete, vedete, io non sono contento della Corte Suprema. Amano governare contro di me. Ho scelto tre persone. Ho combattuto come un inferno per loro. Per una in particolare ho combattuto … L’abbiamo fatto passare e, sai una cosa, a loro non potrebbe fregarne di meno … la leggenda è che sono i miei burattini … e, ora, l’unico modo per uscirne – loro la odiano, non va bene nel circuito sociale – l’unico modo per uscirne è sentenziare contro Trump, quindi diamo torto a Trump, e lo fanno”; lo stesso il procuratore generale Bill Barr: “improvvisamente Bill Barr è cambiato, se non l’aveste notato. Mi piace Bill Barr, ma è cambiato perché non voleva essere considerato il mio avvocato personale”.

Tutti costoro, cosa sono? Li ha appena chiamati RINOs (Republicans in name only), una volta li chiama “Washington swamp”, la palude di Washington come da gergo tradizionale. Ma l’espressione che preferisce è “weak Republicans”: “Repubblicani deboli, e questo è, lo credo veramente. Penso li chiamerò così. Repubblicani deboli … ce n’è molti di loro. Hanno chiuso gli occhi. Anche quando i Democratici facevano politiche che mandavano lontani i nostri posti di lavoro, indebolivano le nostre Forze Armate, spalancavano i nostri confini, e mettevano l’America per ultima (America Last)”. Ebbene no, “voi dovete avere gente che si batte. E, se non si batte, anzitutto dobbiamo cacciare quelli che non si battono … I Repubblicani costantemente fanno come un boxeur con una mano legata dietro la schiena. È come un boxeur. E vogliamo essere così carini. Vogliamo essere così rispettosi di chiunque, pure della gente cattiva. E noi dovremo combattere con molta maggiore difficoltà”. Repubblicani deboli come Romney: “quando venne battuto, rispose col più tipico: beh, vorrei congratularmi con il vincitore. Il vincitore. Chi è stato il vincitore [questa volta], Mitt? Vorrei congratularmi. Non entrano nei fatti e non li guardano: oh, non so. È stato massacrato. Forse era giusto, forse sì – ecco cosa è successo”. Repubblicani deboli che oggi a Trump dicono: “non lasceremo che accada mai più … cercano di ottenere che io desista, dicono: tra quattro anni sei garantito”.

Trump non è d’accordo: “perché voi non riprenderete mai il nostro Paese con la debolezza. Dovete mostrare forza e dovete essere forti”. Perciò, “siamo venuti a chiedere al Congresso di fare la cosa giusta e di contare solo gli elettori legittimamente iscritti. So che tutti qui presto marceranno verso il Campidoglio per far sentire pacificamente e patriotticamente le vostre voci … dopo questo, ci incamminiamo – e io sarò lì con voi, chiunque voglia, ma penso sia giusto – ci incamminiamo verso il Campidoglio. E faremo il tifo per i nostri coraggiosi senatori e membri del Congresso e probabilmente non faremo così tanto il tifo per altri di quelli”. E poi ancora, in chiusura:

“Quindi ci incammineremo lungo Pennsylvania Avenue (io amo Pennsylvania Avenue) e andremo al Campidoglio, e proveremo a dare (i Democratici sono senza speranza, non votano mai per niente, nemmeno un voto, ma proveremo) daremo ai nostri Repubblicani (i deboli perché i forti non hanno bisogno del nostro aiuto), ci proveremo, proveremo a dare loro quel tipo di orgoglio ed audacia dei quali hanno bisogno per riprendere il nostro Paese. Quindi, ci incamminiamo lungo Pennsylvania Avenue”.

A che fine? “Oggi vedremo se abbiamo leader grandi e coraggiosi o se abbiamo leader che dovrebbero vergognarsi di se stessi per i secoli a venire, per l’eternità (…) Se fanno la cosa sbagliata, non dovremmo mai, mai dimenticare che l’hanno fatto”. Cioè, sapranno chi sono i Repubblicani forti. Questo è lo scopo della marcia: non convincere i Democratici, ma selezionare i Repubblicani. I Repubblicani forti, va bene, ma per farci che? Beh … per arruolarli nel movimento: “le nostre emozionanti avventure e le nostre imprese più audaci non sono ancora iniziate. Miei concittadini americani, per il nostro movimento, per i nostri figli e per il nostro amato Paese (e lo dico nonostante tutto quello che è successo) il meglio deve ancora venire … Oggi non è la fine, è solo l’inizio”.

Il nostro movimento. Quale movimento? “Oggi, oltre a contestare la certificazione delle elezioni, chiedo al Congresso e alle legislature statali di approvare rapidamente ampie riforme elettorali”. Riforme elettorali. Quali?

  1. “Approveremo finalmente forti requisiti per l’identificazione dell’elettore. Hai bisogno di una carta d’identità per incassare un assegno, hai bisogno di una carta d’identità per andare in una banca, per comprare alcolici, per guidare un’auto; ogni persona dovrebbe avere bisogno di mostrare un documento d’identità per poter esprimere la cosa più importante: il voto”.
  2. “Richiederemo anche una prova di cittadinanza americana per poter votare nelle elezioni americane”.
  3. “Vieteremo la raccolta delle schede elettorali (ballot harvesting) e vieteremo l’uso di cassette di raccolta delle schede postali (drop box) non sicuri, usati per commettere dilaganti frodi elettorali. Queste caselle di posta sono fraudolente. Raccolgono, scompaiono, e poi, all’improvviso, si presentano. È fraudolento”.
  4. “Interromperemo la pratica del voto universale per corrispondenza non richiesto dall’elettore”.
  5. “Puliremo le liste elettorali e garantiremo che ogni singola persona che ha espresso un voto sia un cittadino del nostro Paese, un residente dello Stato in cui vota, e il loro voto sia espresso in modo lecito e onesto”.
  6. “Ripristineremo la vitale tradizione civica del voto di persona il giorno delle elezioni, in modo che gli elettori possano essere pienamente informati quando fanno la propria scelta”.
  7. Infine, una questione solo apparentemente non elettorale: “i monopoli tecnologici abusano del proprio potere ed interferiscono nelle nostre elezioni”, perciò debbono rispondere delle loro azioni, come un qualunque editore.

Questo il programma del movimento. Un programma radicale? Beh, forse sì, avendo a mente il putrefatto presente del sistema elettorale americano; assai meno radicale per un italiano od un altro europeo, trattandosi di replicare negli Stati Uniti le condizioni minime, sotto le quali nessuno di noi considererebbe le elezioni nel proprio Paese come legittimamente svolte. Ovviamente, Trump lo dice con parole sue: “Penso che uno dei nostri più grandi risultati sarà la sicurezza delle elezioni (election security), perché nessuno, fino a quando sono arrivato io, aveva idea di quanto fossero corrotte le nostre elezioni. Quasi chiunque altro, sarebbe rimasto lì, alle 9 di sera [il giorno delle elezioni, ndr], avrebbe detto ‘voglio ringraziarvi molto’ e se ne sarebbe andato a condurre qualche altra vita. Ma io ho detto che qui qualcosa non funziona, qualcosa è veramente sbagliato, non può essere successo e noi lottiamo, lottiamo come leoni (we fight like hell). E, se non combattete come dei leoni, non avrete più un Paese”, “non lasceremo che silenzino le vostre voci. Non lasceremo che accada”.

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Sin qui Trump. Dopodiché la manifestazione si è mossa verso il Campidoglio, come lui aveva chiesto, dove poi è tracimata dentro il Campidoglio, come tutti sappiamo. Dal discorso è chiaro che non è stato Trump ad indicare alla folla quest’ultimo passo, tanto meno ad incitarlo; ancorché ciò sia fieramente dibattuto, come vedremo nel prossimo articolo. Ed è altrettanto chiaro che il nucleo della sua proposta politica per il futuro, della sua piattaforma, è la riforma elettorale, incluso intervento sui Social Network: chi ignora tale piattaforma, ignora la sostanza del dibattito politico americano prossimo venturo.

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