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Le ideologie del ‘900 sono morte, ma le subculture della sinistra sono ancora tra noi

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Fra tutte le realtà ideologiche novecentesche ormai più o meno scomparse, spiccano senz’altro quelle della sinistra italiana. Anzi, le sinistre, e vale a dire sia quella di natura socialista-riformista, spazzata via dalle controverse inchieste di Tangentopoli, che quella comunista o post-comunista. Di quest’ultima è rimasto il Partito democratico, proveniente in buona parte dalla storia del Pci, che si mantiene lontano, ormai da molto tempo, dalle storiche battaglie della sinistra a favore, assai teoricamente s’intende, dei lavoratori e dei ceti meno abbienti. Il mondo del lavoro è cambiato enormemente nel corso del tempo e persino gli ex-allievi della scuola di Frattocchie si sono resi conto di non poter più andare avanti con gli slogan degli anni Settanta, ritenere tutti gli imprenditori, anche i più piccoli, come “padroni” e sfruttatori della classe operaia. Tuttavia, attraverso più leadership, da Occhetto a Zingaretti, i protagonisti del Pci-Pds-Ds-Pd non sono mai diventati blairiani o liberal in senso anglosassone, bensì hanno messo in soffitta il comunismo per passare alla protezione di alcune élite, anche finanziarie e bancarie. Si sono trasformati nel partito, non dei ricchi, ma di alcuni ricchi, nella difesa di determinate rendite di posizione, anziché della libertà di mercato.

Quei soggetti rimasti fuori dalla svolta della Bolognina di occhettiana memoria – il più importante di essi è stata Rifondazione Comunista, ago della bilancia in alcuni governi ulivisti – oggi non esistono più o al massimo esercitano una funzione di testimonianza, come Marco Rizzo e il suo Partito Comunista. Per quanto si sbracci il neo-segretario Maurizio Landini, anche la Cgil di oggi, insieme a Uil e Cisl, è assai meno rappresentativa di quella del passato. I principali commentatori, magari con il cuore a sinistra e il portafogli a destra, non si danno pace per questa incresciosa situazione. Non capiscono come la Lega di Salvini continui a crescere di elezione in elezione e a sinistra, per bene che vada, vi sia soltanto un Pd, peraltro non sufficientemente di sinistra, che stappa bottiglie di champagne quando “tiene” a livello elettorale, perché vincere è diventato un qualcosa di inarrivabile.

Tutto questo mentre i socialisti spagnoli vincono le elezioni, seppure con una vittoria di Pirro, i laburisti britannici, a causa di Jeremy Corbyn, sono andati più a sinistra del Bertinotti degli anni migliori, e non mancano spinte socialisteggianti all’interno dei Democratici d’oltreoceano. Perché gli altri hanno Sanders, Ocasio-Cortez, Corbyn e Sanchez, e noi possiamo aspirare al massimo a Calenda? Questa domanda dà il tormento ai benpensanti e benestanti di sinistra.

Ma chi in Italia è sempre stato alternativo ad ogni tipo di sinistra, rossa o rosa pallido, non deve esagerare nel cantar vittoria. I non più giovanissimi possono ricordare la spartizione consociativa del potere che caratterizzava la Prima Repubblica. La Democrazia Cristiana, al fine di non avere ostacoli in altri ambiti, lasciò campo libero al Pci e a quelle forze collaterali della falce e martello, nel mondo della cultura e della giustizia. Sebbene il Partito Comunista Italiano giaccia al cimitero della politica e l’attuale Pd sia cagionevole di salute, gli effetti dell’occupazione di alcune procure, di certi giornali e di grandi gruppi editoriali, da parte della sinistra, si fanno sentire ancora oggi, nonostante le diverse vittorie elettorali di realtà alternative agli eredi di Berlinguer, da Berlusconi a Salvini. L’Italia è costretta spesso a fermarsi, perché periodicamente giungono problemi giudiziari per il potente di turno, e non possiamo che interrogarci ogni volta sia sull’onestà della classe politica che sulla bontà dell’azione di settori della magistratura italiana. Se vi sono politici deboli di fronte alla tentazione del denaro facile, vi sono anche magistrati che confondono le loro idee politiche con la legge.

Esiste un blob quantomeno rossastro, se non proprio rosso, che avvolge ancora determinati dibattiti, argomenti e decisioni. A tale riguardo è possibile fare molti esempi. La ricorrenza del 25 aprile è stata trasformata, da comunisti e post-comunisti, in una celebrazione delle gesta dei partigiani rossi, che ignora bellamente gli anglo-americani, fondamentali peraltro per la Liberazione, e l’apporto significativo degli antifascisti liberali, monarchici e cattolici. Il Pci e i suoi figli hanno sempre strumentalizzato il 25 aprile a loro uso e consumo, e guai a non festeggiarlo secondo i loro desideri, perché si diventa immediatamente fascisti, anche nel 2019. Alcuni trinariciuti neri, naturalmente da condannare, espongono uno striscione in onore di Benito Mussolini. Subito si mobilitano mezzi d’informazione e addirittura procure. Le facce contrite, come quella del giornalista Massimo Giannini, onnipresente in televisione, diventano urgentemente d’obbligo. Giorgia Meloni viene volgarmente presa in giro dai “tolleranti” di sinistra, ma il femminismo militante non ha tempo per lei. Matteo Salvini viene spesso invitato ad andarsene, da centri sociali ed estremisti di sinistra, non tanto dal governo del Paese, il che sarebbe accettabile in una normale dialettica politica, ma proprio all’altro mondo, attraverso minacce piuttosto esplicite. Eppure, le intimidazioni nei confronti di Salvini non indignano i benpensanti, già troppo stressati dagli striscioni neofascisti. La cappa rossastra avvolge, da almeno vent’anni, anche il dibattito sul taglio delle tasse e della spesa pubblica.

In realtà, la questione è piuttosto semplice: è possibile ridurre l’imposizione fiscale solo se prima si provvede alla razionalizzazione e alla drastica diminuzione della spesa, altrimenti non se ne esce. Dopo eterne discussioni, che si trascinano stancamente da tanti anni, anche i sassi dovrebbero ormai conoscere questa elementare verità, tuttavia rimane ancora complicato, vedasi il confronto sulla flat tax, riformare fisco e stato sociale in Italia. Oltre alla subcultura rossa, occorre dirlo, ha sempre avuto un ruolo importante anche un determinato paternalismo cattolico, lasciato in eredità da quei democristiani con lo sguardo rivolto a sinistra.

A parole, sono in tanti a volere tasse ragionevoli e una spesa pubblica sostenibile, ma quando bisogna passare ai fatti, nessuno vuole tagli e sacrifici nel proprio giardino, preferendo che si inizi sempre da qualche altra parte. Ma se non si comincia mai, trascorreranno altri vent’anni e il dibattito sulle tasse sarà il medesimo di oggi. Esistono poi la lesa maestà e il terrorismo psicologico, agitati come clava nei confronti di chiunque osi mettere in discussione la struttura dello stato sociale italiano. Anche coloro i quali hanno preso voti e vinto più volte le elezioni nel nome delle riforme fiscali e sociali, come il centrodestra berlusconiano, ad un certo punto hanno avuto paura di sfidare il pensiero unico statalista, derivante dal consociativismo Dc-Pci.

Il vero cambiamento starebbe nel riuscire ad eliminare le “sinistre” incrostazioni del passato, ma occorre sudare sette camicie e forse qualcuna di più. Matteo Salvini può rappresentare una forte discontinuità, ma fino a quando l’alleato di governo della Lega sarà il M5S, non potremo farci grandi illusioni. La sinistra ideologica del Novecento non c’è più e il Partito democratico non se la passa granché bene, ma in compenso esiste il Movimento 5 Stelle, che è di sinistra de facto.

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