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Il panico pandemico sfruttato per espandere il potere statale: intervista a Hans-Hermann Hoppe

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Tra le moltissime esternalità negative importate dalla pandemia, senza dubbio alcuno, primeggia il sedimentarsi, nella coscienza sociale, della idea di un punto di non ritorno ormai varcato: distanziamento sociale, sfiducia nei diritti individuali e nelle libertà, sempre più compresse, ristrette, sottoposte a minaccia, l’aggressione sempre più capillare e pervasiva contro la proprietà privata (si pensi al blocco sfratti, che si protrae ormai da anni, spesso per motivazioni che vedono l’utilizzo della pandemia solo come comodo alibi), l’incedere di una religione civile e collettivista che eleva sul piedistallo la salute pubblica e una scienza sempre più tirannica.

E su tutto, lo spettro inquietante della ‘occasione’ rappresentata dalla pandemia stessa per la costruzione di una nuova società, sempre più massificante, negatrice delle specificità dei diritti naturali e del valore dell’individuo.

Fortunatamente, non mancano le voci autenticamente libere. Libere, genuinamente controverse, acute e taglienti; capaci ancora di vedere oltre la nebbia azzurrognola del conformismo sociale da talk-show o da stampa mainstream e di gridare, senza timore, che il Re è nudo.

E già ci si sta attrezzando per macinare le ossa di Cacciari e Agamben, stimati filosofi un tempo cari a una certa intellighenzia progressista, egemone nel Paese, e che oggi invece vengono trattati come reietti e proscritti, per aver osato l’inosabile: mettere in discussione le misure di emergenza, o forse meglio a dirsi di salute pubblica, adottate dal Governo dei Migliori.

Ed allora abbiamo voluto ascoltare una delle voci più brillanti e culturalmente indipendenti del mondo intellettuale libertarian e anarco-capitalista: il professor Hans-Hermann Hoppe.

Già allievo e strettissimo collaboratore di Murray Newton Rothbard, con il quale ha condiviso dieci intensi anni di collaborazione fianco a fianco negli Stati Uniti, prima a New York e poi nel Nevada, professore emerito di economia all’Università del Nevada, Distinguished Fellow del Mises Institute, dottore di ricerca con una tesi di cui tutor fu Jurgen Habermas, Hoppe è un autore visceralmente corrosivo, brillante, e capace di districarsi tra distinte discipline, come l’economia, la filosofia politica e naturalmente l’epistemologia.

Autore di pubblicazioni essenziali per comprendere le autentiche disfunzioni di molte istituzioni la cui semplice messa in discussione è considerata un tabù, a partire dalla democrazia, analiticamente e ferocemente criticata, e smontata pezzo dopo pezzo, nel suo capolavoro “Democrazia: il dio che ha fallito” (Liberlibri, 2001) e nel provocatorio ma altamente istruttivo “Abbasso lo Stato e la democrazia” (Leonardo Facco Editore/GoWare, 2018), Hoppe si è affermato come un intransigente difensore della proprietà privata e come uno dei più significativi continuatori dell’opera di Ludwig von Mises, letta con la curiosità intellettuale e con il piglio bellicoso di chi non si accontenta di testimoniare statica fedeltà a una data idea ma piuttosto preferisce farne vivere ancora il lascito, contestualizzandone gli esiti nel contingente.

Culturalmente conservatore, paleo-libertarian come usa dirsi negli Stati Uniti, le sue posizioni incendiarie sono sempre sorrette da rigore analitico e da ampie motivazioni, mai amante della provocazione fine a se stessa. D’altronde in un segmento storico in cui il politicamente corretto impera quasi indisturbato, è rigenerante poter leggere punti di vista ‘maudit’ e brillanti.

Negli ultimi anni ha fondato il centro studi Property and Freedom Society (PFS), di cui è presidente e animatore culturale.

Senza dubbio alcuno, un autore che non lascia e non può lasciare indifferenti e la cui voce merita di risuonare nell’attuale caos.

ANDREA VENANZONI: Professor Hoppe, la pandemia e le spesso restrittive, liberticide risposte dei governi hanno portato molti individui a riscoprire il valore della libertà individuale e l’importanza della legge naturale in antitesi al diritto positivo, su cui sono basate le decisioni statali che finiscono per colpire libertà e proprietà privata. Pensa che questo dualismo sempre più evidente tra autorità e libertà potrà portare, in un più o meno prossimo futuro, a un ritorno di interesse per le analisi libertarie della società e per una conseguente riduzione degli interventi statali nella vita dei singoli?

HANS-HERMANN HOPPE: Probabilmente è utile riassumere brevemente ciò che è successo durante l’ultimo anno e mezzo e ciò a cui assistiamo ancora oggi. Mai prima d’ora, in tempo di pace, le nostre libertà sono state limitate così drasticamente e severamente, dagli arresti domiciliari definiti pietosamente ‘lockdown’ al coprifuoco, alla chiusura delle imprese, ai divieti di lavoro, produzione, viaggio, movimento e associazione.

C’erano alcune differenze da Paese a Paese o da regione a regione per quanto riguarda la severità di queste restrizioni, ma da nessuna parte la vita poteva continuare nel suo modo normale. E tutto questo veniva fatto in nome della protezione della popolazione da un presunto virus mortale e altamente infettivo che altrimenti, senza queste restrizioni, avrebbe presumibilmente causato un aumento drammatico o addirittura catastrofico del tasso di mortalità. È diventato rapidamente evidente, tuttavia, che nulla di tutto ciò è vero.

Nella stragrande maggioranza dei casi (circa l’80 per cento) il virus è a-sintomatico, tale che una persona non saprebbe nemmeno di esserne stata colpita se non fosse stata sottoposta a un test artificiale e altamente inaffidabile.

Va precisato a mio avviso che, anche se il virus era accompagnato da sintomi di malattia, il paziente sarebbe sopravvissuto alla sua malattia praticamente in tutti i casi (in più del 99 per cento di tutti i casi per le persone sotto i 70 anni, e in circa il 95 per cento di tutti i casi nella fascia di età di 70+).

Che, tenendo conto della dimensione della popolazione e della incidenza anagrafica, non c’era un eccesso significativo di mortalità rispetto ad altri periodi precedenti con un’intensa stagione influenzale. E che il tasso di vittime (di malati e di morti) per Paesi o regioni con chiusure dure e severe, come la Germania o la California, per esempio, non differiva significativamente da quelli con restrizioni relativamente miti e indulgenti, come la Svezia o la Florida.

Per i politici, tuttavia, che sono pagati con le tasse e sono quindi in gran parte garantiti come i dipendenti pubblici e non sono chiamati a rispondere dei danni economici e delle difficoltà che le loro misure stanno causando ad ampi settori della popolazione, nessuna di queste prove accumulate ha fatto molta differenza.

Continuano nei loro sforzi per mantenere la popolazione in una modalità di panico permanente blaterando di mutazioni future del virus potenzialmente più pericolose, ed esercitando sempre più pressione sulla popolazione per farsi vaccinare, anche se i vaccini approvati sono in gran parte non testati per gli effetti collaterali e già noti per non proteggere in modo sicuro contro qualsiasi reinfezione dal virus, mentre tutti i loro produttori sono stati esentati da qualsiasi rivendicazione di responsabilità.

Dopo questi lunghi preliminari la mia risposta alla sua domanda può essere relativamente breve e compatta – e per dirlo fin dall’inizio: non sono così ottimista come lei sembra essere. Date le restrizioni massicce e senza precedenti inflitte ai diritti di proprietà privata e alle libertà umane naturali da parte dello stato, il livello di opposizione pubblica, resistenza e disobbedienza civile è stato deprimente.

Per essere sicuri, in luoghi con una lunga tradizione di individualismo, come gli Stati Uniti, alcuni notevoli casi di disobbedienza civile sono stati registrati, e nei paesi dell’ex blocco orientale in particolare, con la loro lunga tradizione di governo autoritario o dittatoriale, la gente aveva da tempo imparato come ignorare o aggirare con successo molti editti governativi invadenti.

Inoltre, in tutto il mondo hanno avuto luogo numerose dimostrazioni, spesso con molte migliaia di partecipanti, per protestare contro le varie restrizioni governative. Ma da nessuna parte nel dibattito pubblico associato a tali proteste ho potuto rilevare una chiara consapevolezza della causa principale del problema: cioè l’istituzione stessa di uno stato.

Cioè, un’istituzione che è esente dalle disposizioni della normale legge privata che si applica a tutti gli altri; un’istituzione, invece, i cui agenti possono impartire ordini riguardanti la proprietà di altre persone senza il loro consenso e che non possono essere ritenuti responsabili delle conseguenze dei loro comandi; e un’istituzione, quindi, che si trova in chiara violazione della cosiddetta Regola d’oro dell’etica, dei comandamenti biblici otto e dieci, e di tutta la legge naturale.

Ancora peggio, non solo non c’era e non c’è ancora una chiara comprensione della causa fondamentale e strutturale dell’intero malessere, ma ogni critica pubblica e ogni critica esplicita delle misure di ogni governo è stata immediatamente condannata come irresponsabile, meschina o addirittura pericolosa dai mass media e respinta come tale anche dalla stragrande maggioranza del pubblico in generale che ancora oggi aderisce supinamente a tutti i comandi del governo, non importa quanto ridicoli possano essere.

In sintesi: mi dispiace dire, quindi, che come conseguenza dell’attuale vicenda Covid, non mi aspetto tanto una recrudescenza delle analisi libertarie e un rinnovato interesse per il diritto naturale. Ma piuttosto, temo che i politici abbiano imparato da questa esperienza che un panico pubblico può essere fabbricato sulla base di poco più di alcune statistiche sanitarie abilmente manipolate e che questo panico può essere usato per espandere il proprio potere fino al limite massimo di un controllo quasi totalitario; e quindi, data la megalomania tipica dei politici, non solo trascineranno l’attuale modalità di panico il più a lungo possibile, ma saranno incoraggiati a ricorrere di nuovo alle stesse o simili misure totalitarie in futuro, se ritengono che sia il momento “giusto” per farlo.

AV: Alcuni analisti hanno sottolineato come la pandemia finirà con l’ingenerare e potenziare i flussi migratori. Se questa previsione dovesse rivelarsi corretta, finiremo senza dubbio per scontare, oltre a quelli già attuali, un ulteriore assalto contro la proprietà privata, visto che il sistema e il governo delle migrazioni di massa implicano sempre più Stato sociale. Cosa andrebbe fatto a suo avviso?

HHH: Sono essenzialmente d’accordo con questa valutazione. Proprio come la pandemia ha colpito più duramente gli individui più poveri di quelli più ricchi, così anche i Paesi e le regioni più poveri, come il Medio Oriente e l’Africa, per esempio, hanno sofferto economicamente più dei paesi relativamente più ricchi dell’Europa occidentale.

Di conseguenza, l’attrazione dei paesi dell’Europa occidentale per potenziali immigrati dal Medio Oriente e dall’Africa è aumentata ulteriormente a causa della pandemia. Anche prima della pandemia, la migrazione di massa in Europa occidentale dal Medio Oriente e dall’Africa doveva essere caratterizzata come una sorta di ‘invasione’ straniera. Ora, come risultato della pandemia, ci si può aspettare che il numero di potenziali ‘invasori’ aumenti ancora di più. Mi lasci spiegare l’utilizzo di termini forti e certamente urticanti per molti come ‘invasione’ e ‘invasori’.

Questi ‘invasori’ non sono arrivati e non arriveranno armati di armi e di intenti funzionali alla conquista e all’occupazione militare. Eppure sono comunque ‘invasori’. In primo luogo, perché nessuno di loro è stato invitato personalmente dai residenti nazionali o dalle istituzioni residenti, e in secondo luogo, una volta arrivati a destinazione non hanno sostenuto e non sosterranno la loro vita con mezzi normali, cioè con il proprio denaro, ma con il saccheggio delle risorse economiche e della proprietà privata, cioè a spese dei residenti nazionali. Inoltre, rispetto ai tempi passati, il saccheggio oggi è molto più facile.

Gli ‘invasori’ non devono impegnarsi in lunghe ricerche per scoprire dove c’è più o meno da saccheggiare. Piuttosto, sanno fin dall’inizio l’entità della ricompensa che li aspetta nei vari luoghi, rendendo la Svezia e la Germania le loro destinazioni preferite, per esempio. E ovunque gli ‘invasori’ finiscano, il loro saccheggio non richiede l’esercizio di alcuna violenza, essi arrivano tipicamente armati solo di qualche cellulare, e semplicemente della loro registrazione presso qualche ufficio statale. E lo stato, allora, come il saccheggiatore domestico in capo, fornirà loro alloggio, cibo e qualche spicciolo dalla sua vasta riserva di bottino (delle tasse e della cosiddetta proprietà pubblica), nell’aspettativa che in cambio di tale “generosità” pubblica gli ‘invasori’ gli presteranno d’ora in poi il loro sostegno attivo nelle proprie future attività di saccheggio.

Inoltre, l’attuale migrazione di massa dal Medio Oriente e dall’Africa nei Paesi dell’Europa occidentale presenta un’altra caratteristica peculiare. Non è necessariamente il caso che gli invasori rimangano per sempre saccheggiatori, saccheggiando e vivendo a spese della popolazione interna. È anche possibile, e ci sono stati esempi storici di questo, che alcuni invasori originari si rivelino superiori, più ingegnosi, produttivi e imprenditoriali della popolazione domestica e quindi in realtà arricchiscano piuttosto che impoverire il paese invaso. Nel momento attuale, tuttavia, questo non è assolutamente il caso. Gli attuali ‘invasori’, nella stragrande maggioranza dei casi, sono, per dirla in modo semplice e il più educato possibile, persone dotate di un livello piuttosto basso di capitale umano, tale che la maggior parte di loro finirà sul lastrico e, in quanto consumatori di tasse, saranno un freno permanente all’economia.

Quello che si dovrebbe fare in questa situazione sembra piuttosto evidente. I migranti economici, autentici free rider, devono essere fermati e si deve far entrare solo le persone invitate che sopportano il costo totale della loro presenza. Più specificamente, tutte le barche con i cosiddetti rifugiati che cercano di attraversare il Mediterraneo per sbarcare in Italia, per esempio, dovrebbero essere immediatamente scortate indietro da dove sono venute, l’equipaggio dovrebbe essere arrestato e costretto a pagare tutte le spese di questa spedizione, e le barche dovrebbero essere confiscate. Solo un paio di operazioni del genere e i flussi subirebbero una drastica riduzione. La stessa procedura dovrebbe essere applicata agli organizzatori dei flussi attraverso i Balcani, per esempio.

Tutti gli sponsor nazionali dei cosiddetti rifugiati, siano essi privati, chiese o qualsiasi altra organizzazione, dovrebbero sostenere tutti i costi associati alla presenza dei loro clienti sponsorizzati ed essere ritenuti responsabili di qualsiasi danno causato da loro. Cioè: nessuna esternalizzazione dei costi su qualcun altro! E per quanto riguarda i richiedenti asilo, se possibile, dovrebbero essere obbligati a fare domanda e le domande andrebbero esaminate dall’ambasciata o dal consolato più vicini alla destinazione desiderata, perché queste istituzioni, grazie alla loro maggiore familiarità con le circostanze locali, sembrerebbero essere meglio attrezzate per distinguere i casi autentici da quelli falsi: dopo tutto, abbiamo familiarità con non pochi casi in cui qualcuno che afferma di essere in imminente pericolo di essere ucciso o torturato innocentemente è stato lui stesso, solo ieri o un anno fa, un assassino o torturatore di persone innocenti. Queste persone meritano davvero sempre e comunque l’asilo?

Mentre le misure necessarie per fermare l’ ‘invasione’ dell’Europa occidentale da parte di masse di stranieri non invitati sono piuttosto ovvie, dubito però fortemente che qualcuna di esse sarà effettivamente intrapresa, nonostante il fatto che una grande maggioranza della popolazione in tutta l’Europa occidentale vuole che le attuali politiche di immigrazione dei loro governi siano immediatamente fermate.

AV: Negli ultimi tempi il ‘politicamente corretto’ oltre ad aver assunto sfumature da religione civile e da autentica psicosi di massa, si è trasformato in una tecnica di redistribuzione di risorse economiche, specie sotto la suadente dizione di ‘giustizia sociale’. Ritiene ci sia modo di guarire da questo autentico malanno collettivista dello spirito?

HHH: Sono d’accordo che negli ultimi anni il ‘politicamente corretto’ si è trasformato in una specie di malattia mentale infettiva. Ci sono però alcuni segni di speranza che gli agenti infettivi, cioè gli incubatori di tali idee, abbiano ormai esagerato. La dottrina ha raggiunto nel frattempo tali livelli di assurdità che anche le persone più docili sono regolarmente messe in uno stato di incredulità e un numero crescente di persone comincia effettivamente a considerare l’intera faccenda come nient’altro che uno scherzo crudele. Anche se l’apice dell’insanità mentale è stato raggiunto, tuttavia, per sconfiggere veramente la malattia è necessario identificare ed eliminare la sua causa principale, cioè l’errore intellettuale fondamentale.

L’errore fondamentale, propagato senza sosta dalle élite al potere in tutto il mondo occidentale, è la sua visione egualitaria del mondo. Non riconoscono, o piuttosto non vogliono riconoscere ciò che dovrebbe essere ovvio per chiunque abbia occhi per vedere: che ogni persona è unica, diversa e disuguale a tutte le altre persone, e che lo stesso è vero per ogni gruppo di persone rispetto a qualsiasi altro gruppo. Inoltre, ognuna di queste persone e gruppi di persone, naturalmente diversi, si trova di fronte e deve agire in circostanze esterne diverse che hanno ereditato e che sono state modellate dai loro diversi antenati. Dato questo punto di partenza, quindi, ci si dovrebbe aspettare come perfettamente normale e naturale che anche il risultato di tutto questo sia diverso: cioè, che le realizzazioni, i successi o i fallimenti, delle diverse persone e dei diversi gruppi di persone nella vita siano anch’essi diversi. Nella visione egualitaria, tuttavia, questo fenomeno naturale, prevedibile, di disuguaglianza diffusa e notevole rappresenta uno scandalo.

Perché se si assume – contro ogni evidenza empirica – che tutte le persone e tutti i gruppi di persone sono essenzialmente uguali, allora le differenze effettive empiricamente osservate, spesso massicce e profonde nei risultati delle diverse persone e gruppi di persone e dei loro rispettivi antenati, devono avere delle cause non naturali, cioè moralmente discutibili, che esse, le élite al potere, devono eliminare per riportare l’umanità in qualche modo al suo presunto stato originale e naturale di uguaglianza umana.

Dal punto di vista egualitario, quindi, le disuguaglianze, in particolare ma non solo di reddito e di ricchezza, non nascono da differenze di conquiste personali e dall’accumulo di tali conquiste attraverso generazioni successive di persone biologicamente e genealogicamente imparentate, ma o dalla fortuna cosmica delle circostanze o da mezzi di sfruttamento e discriminazione e sono di conseguenza “sottostimate”. Ed è il “nobile” compito delle élite al potere, quindi, di rettificare tali disuguaglianze e ingiustizie attraverso la redistribuzione del reddito e della ricchezza e varie leggi di ‘discriminazione positiva’.

Inoltre, spetta alle élite dominanti determinare quali differenze, tra un numero infinito di differenze osservabili tra vari individui e gruppi di individui, debbano essere considerate rilevanti e perseguibili o meno, e come poi fare la “perequazione” correttiva. E in questo sforzo, le élite di potere occidentali hanno inventato nel frattempo un ordine davvero notevole, e in effetti notevolmente perverso, di persone e gruppi di persone, dai più “immeritevoli” e con il più urgente bisogno di fare ammenda, fino ai più “svantaggiati” e aventi diritto al più generoso risarcimento. C’è occasionalmente disaccordo tra le élite di potere regnanti riguardo all’esatta posizione di qualche particolare persona o gruppo di persone in questo ordine di classifica. A volte appare un nodo da sbrogliare, e c’è disaccordo su come scioglierlo. Ma c’è un accordo quasi unanime riguardo ai due estremi: i più meritevoli e i più immeritevoli.

Il primo posto dei più immeritevoli è presumibilmente occupato dagli uomini bianchi, e in particolare dagli uomini bianchi eterosessuali; e il primo posto dei più meritevoli è occupato dai neri, e in particolare dalle donne nere e soprattutto dalle donne lesbiche nere. Cioè, quello che ci viene detto di credere è essenzialmente questo: quelle persone e gruppi di persone e i loro rispettivi antenati che apparentemente hanno dato il maggior contributo alla civiltà umana, che hanno dimostrato il maggior ingegno, intraprendenza e produttività e vantano la maggior quantità di accumulazione di capitale, prosperità generale e civiltà comune e quindi offrono i luoghi più attraenti per le persone per rimanere o andare – proprio quelle persone hanno presumibilmente il maggior bisogno di fare ammenda e offrire una compensazione a tutte le altre persone. E perché?

Perché i primi presumibilmente non meritano la loro posizione a causa dei risultati raggiunti dai loro antenati, ma devono invece questa posizione unicamente alla fortuna cosmica, al privilegio e allo sfruttamento; e allo stesso modo, la posizione, considerata dagli intellettuali progressisti, ‘inferiore’ dei secondi non è il risultato di una mancanza di talento e di risultati da parte loro e dei loro antenati, ma unicamente il risultato della sfortuna e del vittimismo: la vittimizzazione dei neri attraverso la conquista, la colonizzazione e la discriminazione dei bianchi.

E in cima a tutto questo ci viene detto che tutti i maschi e le femmine eterosessuali dovrebbero chiedere scusa, inchinarsi e fare ammenda a tutti coloro che hanno un orientamento sessuale diverso. Per inciso: secondo questo punto di vista, la già menzionata migrazione di masse africane e asiatiche nei territori dominati dai caucasici non è un’ ‘invasione’, quindi, ma piuttosto costituisce una restituzione e un risarcimento a lungo atteso dagli oppressori bianchi alle loro vittime che soffrono da tempo.

Inoltre e soprattutto: ci viene chiesto di credere a tutte queste sciocchezze egualitarie da una élite al potere che è essa stessa composta in modo schiacciante da maschi bianchi eterosessuali e che, mentre lavorano diligentemente alla distruzione della loro stessa civiltà occidentale con le loro politiche di ridistribuzione equalizzante, godono essi stessi di enormi privilegi altamente diseguali e vivono in grandi comodità altamente diseguali.

Queste élite hanno avuto un successo sorprendente nell’istupidire la loro gente e sono riuscite a far affermare molte credenze palesemente sciocche. Ma ci sono limiti alla credulità anche delle persone ottuse. Chiedere alla loro gente di credere a ciò che la dottrina ‘politicamente corretta’ dice sulla loro posizione, il loro rango e la loro posizione nel tessuto sociale globale, è semplicemente chiedere troppo.

È troppo assurdo per essere creduto. In effetti, è così assurdo che persino molti, se non la maggior parte, dei presunti beneficiari più meritevoli delle politiche di ridistribuzione delle élite al potere non ci credono. Come detto all’inizio, quindi: di fronte alla crescente opposizione pubblica, mi aspetto che le élite al potere si ritirino un po’ dall’attuale frontiera ideologica e abbassino un po’ il loro messaggio egalitario dalle sue attuali vette di assurdità. Non escluderei nemmeno un breve interludio “populista” come reazione all’attuale stato di squilibrio mentale e follia. Ma mi aspetto che un tale sollievo sia solo temporaneo. E non mi aspetto un ritorno alla normalità, quindi, ma piuttosto la rapida ripresa di cause, temi e narrazioni egualitarie in melodie e variazioni sempre nuove e innovative. Perché l’egualitarismo, e la ridistribuzione obbligatoria di reddito, ricchezza e posizione sociale, cioè una politica di divide et impera, è parte integrante di ciò che è e richiede essere una classe dirigente al controllo di uno Stato.

AV: Può dirci qualcosa sugli scopi sottesi alla Property and Freedom Society (PFS) che Lei ha fondato anni fa, e sulle attività di questa associazione?

HHH: la PFS è un salone intellettuale esclusivo, che si riunisce ogni anno, che dura diversi giorni, organizzato in un ambiente bellissimo, e ospitato da me e mia moglie. Giunto al suo 15° anno, il salone riunisce in genere da 80 a 100 partecipanti al massimo, tra cui una dozzina di relatori.

La partecipazione è solo su invito personale, ma gli interessati possono richiedere un invito. I partecipanti sono costituiti da individui eccezionali di tutte le età, background intellettuale e professionale e nazioni.

Sono tutti uniti, però, nel riconoscimento e nell’affermazione della proprietà privata giustamente acquisita e dei diritti di proprietà privata, della libertà di contratto, della libertà di associazione e dissociazione, del libero scambio e della pace. E allo stesso modo: si oppongono radicalmente a tutti i promotori e le promotrici di statalismo, guerra, socialismo, positivismo giuridico, relativismo morale o egualitarismo, sia di ‘risultato’ che di ‘opportunità’.

Essenzialmente, è un’assemblea di libertari culturalmente conservatori (dei tipi più radicali), e di conservatori della vecchia scuola o “paleo” con inclinazioni distintamente libertarie. O in alternativa: un incontro di anarchici decisamente borghesi. La cosa più importante, tuttavia, è un incontro di menti che non riconoscono alcun “tabù” intellettuale o “correttezza politica” di sorta, ma sono invece impegnate in un radicalismo intellettuale senza compromessi, disposte a seguire i dettami della ragione ovunque questi possano condurre. Se posso dirlo immodestamente: non c’è niente di simile alle riunioni di PFS.

AV: A cosa sta lavorando in questi ultimi tempi che so essere per Lei molto pieni e ricchi di impegni?

HHH: Al prossimo, imminente incontro del PFS, in settembre, ho intenzione di riportare in vita l’opera del pensatore svizzero Karl Ludwig von Haller (1768-1854). Abbastanza famoso in tutta Europa durante la prima metà del XIX secolo, Haller e il suo lavoro sono oggi quasi completamente sconosciuti.

Se Haller viene menzionato, è di solito dagli storici del pensiero, ed essi tipicamente lo presentano e si riferiscono a lui con disprezzo come un “ultra-reazionario” – un arcinemico del glorioso ‘lluminismo’ – , le cui idee sono state da tempo superate e sostituite dalla sofisticazione della filosofia politica “moderna”. Nel migliore dei casi, questo è il verdetto generale, Haller è degno solo di interesse antiquario.

In netto contrasto con questo punto di vista, io prendo Haller sul serio, come pensatore sistematico, e presenterò lui e la sua teoria di un ‘ordine sociale naturale’ e la corrispondente idea di una ‘società di diritto privato’ sia come un importante precursore e un necessario correttivo alla moderna filosofia politica libertaria, e allo stesso tempo come il più feroce dei critici e delle critiche di tutto ciò che corre oggi sotto l’etichetta di filosofia politica moderna. A più lungo termine, e sempre che io possa ancora raccogliere sufficienti energie mentali, ho intenzione di tornare ai miei inizi intellettuali come filosofo, e spero di completare un saggio completo sull’epistemologia e il metodo.

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