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Il Giappone come modello di sostenibilità demografica, mentre l’Italia deve ancora cominciare a parlarne

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Si è svolto lunedì scorso 29 marzo il convegno “Italy and Japan: the population challenge” (il seminario, in lingua inglese, è interamente recuperabile su socialtv.luiss.it), per iniziativa congiunta di Luiss Ethos (think tank presieduto dal professor Sebastiano Maffettone) e dell’Ambasciata del Giappone in Italia.

La versione estesa e in italiano del titolo dell’evento ne chiarisce gli obiettivi: “Italia e Giappone alla sfida della demografia. Una popolazione sostenibile per lo sviluppo sociale ed economico”. C’è tutto: per un verso il problema, e cioè la questione demografica come premessa per ogni ragionamento su conti pubblici, welfare, infrastrutture sociali di un paese; e per altro verso, se non la soluzione, un modello a cui riferirsi, e cioè il Giappone, paese dove la questione è da anni al centro del dibattito e anche delle scelte della politica.

Dopo i saluti del direttore generale della Luiss Giovanni Lo Storto e del vice ambasciatore giapponese Tsukasa Hirota, si sono svolti i due momenti del seminario. Una prima sessione è stata moderata da Sebastiano Maffettone con gli interventi di Gian Carlo Blangiardo (presidente Istat), Ryuichi Tanaka (professore di economia e direttore dell’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Tokyo), e Roberto Bernabei (direttore del Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento, Neuroscienze del Policlinico Agostino Gemelli). Una seconda sessione, moderata dal giornalista del Tg1Rai Marco Valerio Lo Prete (autore due anni fa, insieme ad Antonio Golini, del volume “Italiani poca gente”), è stata caratterizzata dal confronto tra Alfonso Giordano (Luiss, Geografia politica), Antonio Golini (Demografia, Roma La Sapienza), Maria Rita Testa (Luiss, Demografia) e Maria Gioia Vienna (Lingua e Letteratura giapponese, Università per Stranieri di Siena).

Notoriamente Italia e Giappone sono tra i paesi più interessati dal tema dell’invecchiamento della popolazione e insieme da quello della bassa natalità. Il Giappone è al dodicesimo anno consecutivo di diminuzione complessiva della sua popolazione: oggi le stime indicano 125,5 milioni di abitanti contro i 126,2 del 2019 e i 128 del 2010. Nel 2020 la contrazione delle nascite è stata del 5,1 per cento rispetto all’anno precedente, mentre il calo dei matrimoni è stato del 12,7 per cento. La bassa natalità protratta nel tempo ha contribuito a un significativo invecchiamento della popolazione: ben 35,9 milioni di giapponesi hanno 65 anni d’età o più, il 28 per cento della popolazione complessiva.

Quanto alla situazione italiana, essa risulta adeguatamente illustrata da una recentissima fotografia dell’Istat: “Al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze”.

È stato il professor Golini, in particolare, a richiamare l’esperienza giapponese, in primo luogo rispetto al fatto che il tema sia entrato significativamente nell’agenda politica di quel paese:

“A colpire dell’esperienza giapponese – ha detto Golini – è il modo in cui la demografia si colloca al centro del dibattito pubblico da anni, anzi da decenni. In Italia, per ragioni storiche e culturali, oltre che per scarsa lungimiranza delle classi dirigenti, ci siamo comportati a lungo come se il problema non esistesse. Quando negli anni ‘70 cominciai a studiare i dati a nostra disposizione, mettendo in guardia da una possibile implosione demografica prossima ventura in Italia e nel nostro continente, mi si rispondeva citando opere internazionali più à la page – seppure poi dimostratesi fallaci – come ‘The Population Bomb’, il libro uscito nel 1968 a firma di Paul Ehrlich. Oggi, quando compulsiamo attoniti i dati dell’Istat, paghiamo anche la prolungata assenza di un dibattito pubblico sul tema”.

E ancora, ha concluso Golini:

“In Giappone la natalità è ancora bassa, ma molte politiche sono state tentate, alcune per tempo. In estrema sintesi: ripensamento delle cure sanitarie per i più anziani, innovazione tecnologica per accompagnare l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro in particolare, la cosiddetta ‘Womenomics’ per colmare il gap di occupazione e di salario tra uomini e donne, aiuti strutturali per la natalità, immigrazione altamente qualificata”.

Dal canto suo, il professor Tanaka, dopo una dettagliata analisi delle cifre riguardanti il Giappone, ha mostrato somiglianze e differenze rispetto all’Italia: “Il Giappone è già – ha detto – nella fase di declino della popolazione, mentre l’Italia non lo è ancora”. Ma attenzione: considerando i dati sulla fertilità, “il trend italiano potrebbe presto seguire quello giapponese”. Dunque, occorre al più presto assumere misure per mitigare il “declino della fertilità”. Resta da comprendere se la politica italiana abbia sufficiente consapevolezza della rilevanza di questi temi. Si parla spesso retoricamente di “sostenibilità”, ma il tema demografico è la premessa di qualunque altro ragionamento sociale ed economico.

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