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Il corpo imbolsito della politica: tra selfie e dirette Facebook, azzerata la sfera privata, che però prima o poi si vendica…

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Tra condottieri, sovrani, dittatori, presidenti e capi di governo la politica ha sempre avuto una certa ossessione per la statura fisica e il corpo del personaggio di turno. Dai ritratti e dalle statue delle epoche più lontane alle foto e le riprese di quelle più recenti, ma oggi come non mai le loro rappresentazioni hanno assunto un ruolo decisamente più imbarazzante e soprattutto più invadente: un rapido click sullo smartphone per postare sugli account social l’ultimo selfie e collegarsi con sostenitori e detrattori con dirette video per descrivere la propria giornata, elencare i propri impegni e promuovere i presunti successi raggiunti.

La politica ai tempi del web ha conquistato direttamente e indirettamente gli ultimi spazi di intimità e di sfera privata ripronendo i suoi protagonisti da tutti i punti di vista possibili e immaginari: mentre viaggiano in auto per raggiungere un comizio o un appuntamento di lavoro; mentre si mettono in posa in ufficio, seduti alla scrivania intenti a sfogliare carte o a fissare un punto nel vuoto con aria greve e impegnata; mentre gustano una prelibatezza locale lungo il tour della penisola o mentre si distraggono per qualche giorno in una località vacanziera. Come non ricordare, per esempio, un imbolsito Carlo Calenda che a torso nudo sfida i sovranisti tuffandosi in una piscina d’acqua fredda? O lo scatto che ritrae Matteo Salvini addormentato tra le braccia della ex fidanzata Elisa Isoardi, utilizzato per comunicare la fine della loro liaison?

La foto pubblicata nel profilo Instagram della conduttrice televisiva lo scorso novembre divenne il caso del giorno, mentre il ministro degli interni era impegnato all’estero da dove intervenne, via social ovviamente, per commentarne gli ultimi sviluppi. La teoria che la comunicazione internet abbia azzerato filtri e intermediari è ancora tutta da dimostrare: si trattò di una potentissima operazione di immagine nazionalpopolare probabilmente orchestrata da agenti, spin doctor e addetti all’immagine dietro le quinte.

I telefoni d’altra parte conservano segreti: chat che nessun altro dovrebbe leggere o immagini che nessun altro dovrebbe vedere. All’apparenza sicure e protette da una password, ma comunque vulnerabili di fronte agli attacchi di qualche smanettone o ai gesti di ripicca dei destinatari. Più il soggetto in questione è noto, più la vendetta è servita fredda e se i politici sono ormai nuove star al pari di cantanti, attori e modelle, allora il rischio che corrono di essere esposti in atteggiamenti e conversazioni scottanti aumenta. Da martedì ne sa qualcosa anche Dino Giarrusso, oggi esponente pentastellato e in passato autore per Le Iene di alcune inchieste spesso finite nel nulla – tra le quali spicca quella su Fausto Brizzi, indagato per abusi sessuali, accuse poi archiviate -, di cui è circolato un selfie con i gioielli di famiglia in mostra che il candidato alle Europee avrebbe spedito ad alcuni contatti femminili.

È il contrappasso di una strategia di comunicazione che ha fagocitato tutto con la scusante di avvicinare i rappresentatnti del popolo al popolo stesso, ma abbattendo inesorabilmente il confine tra pubblico e privato, dove gli esseri umani hanno spazio, e diritto di coltivare interessi, virtù e vizi senza il rischio di incappare nella scura della morale. E la sovraesposizione mediatica raggiunge presto il punto di saturazione, innescando l’effetto contrario, riassumibile nel consolidato adagio italico “andate a lavorare!”.

I ritratti del passato avevano il merito di raccontare i protagonisti delle vicende politiche nella loro veste pubblica, indagandone la personalità e la psicologia o esaltandone la forza e l’autorevolezza per quell’istante soltanto, non ficcando il naso nei tinelli e nei bagni delle loro abitazioni. E cosa di non poco conto, i soggetti di quadri, arazzi e fotografie indossavano costumi e abiti degni dei ruoli che ricoprivano: se lo segni anche Giarrusso, o almeno si ricordi di non slacciarsi i pantaloni prima di ficcare il naso negli affari altrui.

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