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Gli Stati Generali della cultura di destra: una sfida all’egemonia culturale “gramsciana”

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Gli Stati Generali della cultura di destra, organizzati da Nazione Futura, rappresentano un’importante iniziativa con cui si è finalmente messo in discussione un assioma propagandato nella maggior parte dei luoghi in cui si diffonde il sapere: la cultura è solo ed esclusivamente di sinistra.

Rompere questo pregiudizio è un primo passo per rivalutare e approfondire tutto ciò che nel corso del dopoguerra è stato screditato o ignorato proprio perché di destra. Significa affrontare criticamente l’egemonia culturale di marca gramsciana, applicata sapientemente da Togliatti, che continua a permeare diversi settori del sapere: la scuola, l’università e il mondo dell’informazione.

Una nuova attenzione per il liberalismo e il conservatorismo, schiacciati per decenni dalla vulgata catto-comunista, può aiutare l’Italia ad orientarsi in un periodo di grandi mutamenti in cui anche le identità politiche più consolidate sembrano svanire.

Nel corso del convegno verranno affrontati alcuni temi politico-culturali cruciali per il mondo della destra.

Il presidenzialismo. Questo è un nodo ineludibile. Il sistema proporzionale e consociativo, fatto di governi di coalizione, inciuci e contratti di governo, paralizza il Paese e lo rende ingovernabile.

Una democrazia governante, fondata su un sistema maggioritario, deve essere l’obiettivo di una destra moderna. Una seria riforma costituzionale è quindi improcrastinabile per modernizzare una volta per tutte una Costituzione nata settant’anni fa in un contesto storico ormai mutato. Compito della destra è quello di trovare le soluzioni più adatte per rendere le decisioni più rapide ed efficaci, superando l’estenuante ping pong tra le due Camere.

Riflesso culturale del presidenzialismo è la necessità di mettere in discussione una volta per tutte la categoria dell’eterno fascismo, tante volte evocato per screditare questa riforma. È ora di superare questa forma di delegittimazione e di avere il coraggio di accettare, con un rigoroso sistema di check and balance, che il potere esecutivo possa decidere, e in tempi rapidi.

Il rapporto con lo Stato. Per la destra è importante superare la cultura statocentrica che postula come necessario uno Stato assistenzialista e sprecone. Questo significa riportare il perimetro dell’entità statuale ad una dimensione ragionevole. In altre parole, riformare lo Stato affinché sia presente dove è necessario (istruzione, sanità, welfare…) e si snellisca dove è un ostacolo alla crescita. Il tutto in una prospettiva liberale volta a garantire lo sviluppo delle migliori qualità dell’individuo. Secondo questa logica deve rovesciarsi il tradizionale rapporto di inimicizia tra entità statuale e cittadino, spesso considerato come un suddito. La libera iniziativa dovrebbe diventare una sorta di stella polare per compiere un’inversione di rotta culturale e politica che liberi l’individuo dalla sudditanza burocratico-statale.

Scuola ed educazione. Oltre ai diritti sarebbe necessario ricordare che esistono anche i doveri, mettendo in discussione quell’approccio socioeducativo secondo il quale tutto è dovuto, magari senza fatica. Bisogna decostruire le istanze sessantottesche che hanno reso la scuola e la società prive del senso di autorità, parificando figure che debbono essere gerarchicamente distinte perché l’educazione sia tale. Come può un docente essere messo sullo stesso piano di uno studente? Certo, entrambi godono degli stessi diritti, ma il primo ha un plus di conoscenza ed esperienza che deve essere tenuto in considerazione. Lo stesso discorso vale nei rapporti tra genitori e figli.

È ora di superare l’approccio egualitario che ha distrutto la scuola italiana. Quell’approccio secondo il quale tutti meritano la sufficienza. Il sei politico nuoce alla società e annulla le sacrosante differenze tra gli individui: come si può accettare che il meritevole riceva la stessa valutazione di chi non ha mai aperto un libro? Premiare effettivamente il merito significa superare queste tendenze uniformanti. Troppo facile richiamarsi alla meritocrazia, quando si difende il modello culturale propagandato dal Sessantotto.

Cultura e libertà. La destra deve confrontarsi con un orizzonte culturale ancora dominato dalla sinistra intellettuale. Una sinistra che non è più socialdemocratica o marxista, ma liberal. Liberal di nome ma non di fatto, in quanto, tramite il suo politically correct, è riuscita a mettere fuori gioco tutte quelle opinioni che si discostano dai suoi princìpi. Per una certa sinistra, infatti, la libertà di pensiero esiste fintanto che si ragiona secondo gli schemi da essa prestabiliti. Se ci si oppone a tale vulgata, la libertà di parola viene soppressa attraverso accuse infamanti. Per questo è necessario battersi perché sia ristabilita l’isegoria dell’antica Grecia. Non è accettabile che il pensiero conservatore sia squalificato a priori in quanto conservatore. Bisogna quindi combattere perché la libertà di parola si realizzi concretamente, e non solo secondo i modelli graditi alla sinistra. Il pensiero cattolico, liberale e conservatore non può essere bandito dal discorso pubblico tramite parole quali ‘fascismo’ (presunto), ‘sovranismo’ o ‘Medioevo’.

Tradizione. Il confronto con le novità portate dalla globalizzazione è un momento importante per la cultura e la tradizione occidentali. Ma deve essere un incontro e non un asservimento. Insomma è bene conoscere tutto ciò che proviene da altri continenti ma avendo ben chiari i pilastri su cui si regge il nostro Paese. In concreto significa tutelare le radici classico-cristiane ed umanistiche dell’Italia, ricordando l’importanza delle tradizioni che hanno forgiato la complessa identità della Penisola.

L’antica Roma e i suoi splendori, il complesso ruolo della Chiesa Cattolica nella nostra storia e l’enorme patrimonio letterario e artistico non devono essere dimenticati quando si pensa all’Italia e ci si confronta con altre culture. Questa deve essere la base da cui sorge il rapporto con l’alterità.

Difendere il passato non significa poi, come cerca di propagandare una certa sinistra, opporsi alla modernità. Tutt’altro. Significa rinnovare il proprio patrimonio culturale, politico e tecnologico nel solco di ciò che ci ha reso quel che siamo. Abbandonare l’Italia ad un modello multiculturale vorrebbe dire distruggere il patrimonio storico che l’ha resa unica. In un periodo di grandi rivolgimenti perdere le proprie radici significherebbe consegnarsi al caos, se non all’oblio.

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