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Alle radici della rivolta: solo la riduzione del perimetro dello Stato può disinnescare lo scontro tra le due Americhe

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Se lo Stato si intromette in ogni aspetto delle nostre vite, se il potere dei governi è sempre più pervasivo, le elezioni diventano uno scontro di civiltà anziché un confronto tra policies

La rivolta di Washington non può essere compresa se non si dispone delle coordinate storiche e sociologiche dell’America di oggi. Definirei Trump “il grande catalizzatore”: la figura che funge da calamita e aggregante per una base di scontento molto più estesa rispetto ai circoscritti confini del trumpismo. Non dimentichiamo che la polarizzazione della società americana non è frutto di un solo giorno, ma di decenni: risale agli attacchi feroci a Reagan, e ai Bush dopo di lui, in seguito ai quali si assiste a una organizzazione della protesta anche nell’ala destra.

Il 6 gennaio scorso c’erano i trumpiani in Campidoglio, ovviamente; ma tra di loro c’erano anche credenti che non sopportano più di essere ridicolizzati e trattati alla stregua di cittadini di serie B; c’erano persone stufe di sentirsi chiamare zotici da rieducare; e c’erano i libertari con la bandiera gialla di Gadsen (un serpente e la scritta “Don’t tread on me”), che rifiutano l’idea stessa di stato.

Questi ultimi hanno acceso la miccia della protesta qualche anno fa, nel momento in cui Obama stava smantellando pezzi importanti del modello economico e sociale americano per farlo somigliare ad una socialdemocrazia europea. Ora hanno probabilmente raggiunto una massa critica, coagulandosi con altri gruppi, e riescono a mettere il governo federale sotto pressione, quantomeno temporaneamente.

Rivendicano una libertà di scelta individuale (non quella finta cosiddetta “democratica”) di cui sono (siamo) innegabili portatori. Vogliono decidere della propria vita senza che una maggioranza di persone sia legittimata a farlo per loro. Si chiama diritto di scelta, autonomia personale, punto e basta: è un sacro diritto dell’individuo.

Lo scontro sempre più duro che contrappone i diversi gruppi sociali che compongono le società occidentali moderne ha dunque un comune denominatore: l’onnipotenza dello Stato. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, difatti, il perimetro del “pubblico” si è allargato a dismisura, invadendo ambiti che nel passato erano parte della sfera di decisione privata dei singoli e dell’associazione volontaria tra individui. Basti pensare alle pensioni, all’istruzione, all’assistenza, alla sanità e a una lunghissima lista di eccetera. Il tutto ovviamente pagato con tasse sempre più abusive e “confiscatorie”, che hanno ulteriormente mutilato la libertà e l’autonomia individuali.

Ora, è facile comprendere come, quando su temi così nevralgici non sei più tu in prima persona a scegliere, bensì una maggioranza alla quale sei sottoposto in virtù di un “contratto sociale” che non hai mai firmato, le cose si mettano male. Tanto più quando le scelte vertono questioni tanto importanti da definire la vita di ogni persona. Se il “pubblico” decide dell’illuminazione di una strada, ci si può dividere ma gli animi restano più o meno freddi. Quando però la maggioranza decide su più della metà della tua vita, allora la posta in gioco si alza a dismisura, e la rabbia che produce un esito diverso da quello individualmente desiderato può essere incontenibile (e per sacrosante ragioni).

Dunque, il conflitto è servito. E non c’è nulla che si possa fare per sedarlo se non far arretrare lo Stato, togliergli risorse e competenze, ridare agli individui ciò che loro appartiene: la libertà di decidere della propria vita. Biden parla di riunire l’America usando la solita, insopportabile forma retorica. Non potrà farlo, ovviamente, perché proporrà soluzioni specifiche (pessime, peraltro) che non andranno al cuore del problema: la soluzione consiste in uno stato che rinuncia a decidere, o meglio decide di abiurare a un potere per troppo tempo usurpato.

Prepariamoci dunque a una stagione sempre più incandescente: non perché qualcuno metta in fermento le folle, bensì perché le folle sono in fermento già da parecchio tempo. Speriamo solo che chi si troverà a gestire la caduta dell’impero capisca la vera natura del problema.

Forse questa rivolta nel breve termine non sboccherà in molto più che uno spavento per l’establishment. Ma è un esempio, un primo passo che altri vorranno probabilmente imitare. Dopo decenni di narcotizzazione statalista, in cui siamo stati progressivamente spogliati di un numero sempre crescente di libertà in nome di astrusi concetti linguistici quali “giustizia sociale”, “solidarietà di stato”, “expertise”, forse è arrivata l’ora di Atlante. Non sarà oggi, forse neanche domani, ma sembra solo questione di tempo.

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