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Addio a Bush senior. Marito e padre, patriota e public servant

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Il 30 novembre 2018 passerà alla storia come un giorno triste. Non solo per il popolo americano, ma per tutto il mondo libero. Nella notte tra venerdì e sabato, George Herbert Walker Bush ha raggiunto la casa del Padre. Ha servito gli Stati Uniti d’America come 41esimo presidente. Nato nel 1924, combatté la Seconda Guerra Mondiale diventando così il più anziano veterano alla Casa Bianca. Cominciò la carriera politica alla Camera dei Rappresentanti e raggiunse il palcoscenico internazionale grazie al ruolo di vicepresidente con Ronald Reagan. L’ex Governatore della California lo scelse come partner dopo averlo battuto alla primarie per recuperare consensi al centro. I due formarono una coppia abile ed affiatata. Già petroliere di successo e direttore della CIA, un ruolo fondamentale nella sua vita è stato svolto dalla moglie Barbara, scomparsa lo scorso aprile. Si sposarono nel 1945 ed ebbero cinque figli: il presidente numero 43 George W e poi Jeb, Neil, Doro e Robin. Loro lo hanno ricordato come il padre che tutti vorrebbero avere.

La famiglia Bush, insieme ai Clinton, è stata fulcro della politica Usa degli ultimi trent’anni. Dopo due mandati con Reagan, decise di candidarsi alla presidenza nel 1988. Bush fu il primo vicepresidente uscente a vincere le elezioni dopo Martin Van Buren nel 1836. Raggiunse l’apice della popolarità all’inizio degli anni ’90 e i suoi più grandi successi furono, senza alcun dubbio, quelli in politica estera. In questo ambito George H. W. Bush aveva una grande esperienza perché, nella sua lunga carriera, svolse anche i ruoli di ambasciatore all’Onu e di inviato speciale in Cina. Nel 1989, soprattutto grazie al lavoro del suo predecessore, cadde il muro di Berlino e due anni dopo l’Urss stessa. La guerra del Golfo contro Saddam Hussein fu un’altra sua grande vittoria, anche se alcuni neoconservatori non gli perdonarono di non aver rovesciato definitivamente il dittatore iracheno. Ci penserà George W una decina di anni più tardi.

Nel 1992 perse contro Bill Clinton e non ottenne la rielezione, più che per non aver mantenuto la famosa promessa “read my lips: no new taxes” (“leggete le mie labbra: nessuna nuova tassa”) a causa di una crisi economica, per lo straordinario risultato ottenuto dall’indipendente Ross Perot che gli rubò molti voti a destra. Si ritirò a vita privata dicendo: “Sono contento di lasciare DC, da oggi farò il nonno a tempo pieno.”

Soffriva di Parkinson dal 2008, la malattia non gli impedì di partecipare ad eventi e a farsi vedere in pubblico. Festeggiò i 90 anni lanciandosi col paracadute e fece un’apparizione al Super Bowl del 2017. Negli ultimi anni ha dimostrato una grande forza e un pervicace attaccamento alla vita, credo che molto sia dipeso dal legame con l’amata Barbara, compagna di vita per oltre 70 anni. Era impossibile restassero divisi ancora per molto tempo, ora sono di nuovo insieme. Là torneranno a formare un formidabile quartetto con Nancy e Ronnie.

Bush senior ci lascia un’importante eredità, non solo da ritrovare nell’impegno dei suoi figli, ma soprattutto nell’esempio che ci ha dato nel corso della sua lunga carriera. George W. H. Bush ci ha insegnato cosa vuol dire servire il proprio Paese, con attaccamento granitico e spirito altruista, proprio come un “public servant” dovrebbe fare; ci ha trasmesso il più alto significato di famiglia. Spetta a noi, conservatori come lui, custodire il suo ricordo e portare avanti, con lo stesso suo impegno, la diffusione di valori come libertà e democrazia, in Europa, oggi come allora nella battaglia contro il comunismo, e in tutto il mondo. Riposi in pace presidente, noi di Atlantico non la dimenticheremo.

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